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La guerra commerciale tra imperialismi

La svolta di Trump alla prova del protezionismo. L'interesse indipendente della classe operaia internazionale

7 Aprile 2025
tariffe


Il grande rilancio del protezionismo segna il nuovo corso di Donald Trump. Il ricorso a politiche protezioniste non rappresenta naturalmente un fatto inedito, anche in tempi recenti. Dopo la grande crisi del 2008, e in particolare nell'ultimo decennio, l'innalzamento delle tariffe doganali sulle importazioni è diventato uno strumento diffuso nella concorrenza tra imperialismi. Anche negli USA, dove fu inaugurato dalla prima amministrazione Trump e in larga parte mantenuto, non a caso, dalla successiva amministrazione Biden. Il fatto nuovo, oggi, sta nel rilancio del ricorso protezionista su larga scala, e nel significato politico che questo assume.

Le misure protezioniste varate da Trump nel cosiddetto “giorno della liberazione dell'America” (2 aprile) si estendono alla maggioranza dei settori produttivi nell'intero globo. La loro distribuzione segue un criterio politico, non solo economico. La Cina è sommamente colpita, assieme a larga parte dei mercati asiatici; seguono a ruota le esportazioni europee; la Russia è l'unico paese risparmiato. È il riflesso di una politica di apertura all'imperialismo russo con l'obiettivo della sua separazione dall'imperialismo cinese. Una politica che offre alla Russia il riconoscimento di un ruolo negoziale globale, a scapito degli imperialismi europei, e conferma la Cina come avversario strategico degli USA.


GLI OBIETTIVI ECONOMICI DEL NUOVO CORSO DI TRUMP

Dal punto di vista economico, il nuovo corso protezionista di Trump persegue una combinazione di obiettivi diversi e complementari.

Il primo è riequilibrare la bilancia commerciale, e di riflesso la bilancia dei pagamenti degli USA. Il calcolo dei nuovi dazi in base alle tariffe praticate dai capitalismi concorrenti (con una ritorsione dimezzata a riprova di una presunta “generosità” trumpiana) è arbitrario da un punto di vista economico, perché attribuisce interamente ai dazi subiti la responsabilità dello squilibrio commerciale americano, ma è chiarissimo nella sua finalità: imporre ai capitalismi concorrenti sul mercato americano il costo della loro invadenza, a vantaggio dello Stato americano.

Il secondo obiettivo è riportare negli USA investimenti e produzioni industriali emigrati in Asia e in Europa negli anni della grande espansione della globalizzazione capitalista. “Fare di nuovo l'America grande” è prima di tutto rilanciare il suo ruolo di prima potenza industriale. Imporre dazi alti sulle esportazioni asiatiche ed europee, e promettere al tempo stesso un'ulteriore riduzione della tassazione sui profitti per chi investe negli USA, è un chiaro messaggio ai capitalisti di tutto il mondo: se volete evitare la mannaia dei dazi, per di più guadagnandoci sopra, dovete venire o tornare a produrre in America. L'età dell'oro sarà soprattutto la vostra.

Il terzo obiettivo è quello di massimizzare la pressione internazionale per l'acquisto del debito pubblico statunitense. Possibilmente acquisto di debito a lunghissima scadenza, addirittura centenaria (i cosiddetti “matusalem bond”). Il debito americano verso il resto del mondo ha raggiunto i 23 mila miliardi di dollari. Una mole gigantesca. La sua crescita esponenziale negli ultimi venticinque anni (dal 50% del PIL del 2000 al 125% attuale) è una mina potenziale di grande rilevanza per l'imperialismo USA, e va riportata sotto controllo. Volete evitare la mannaia dei dazi sui vostri prodotti? Comprate titoli di Stato americani per l'eternità, senza pretendere di vederveli ripagati con gli interessi. Trump chiede contropartite «fenomenali» in cambio di una propria (eventuale) indulgenza.


LA REAZIONE DEGLI IMPERIALISMI CONCORRENTI.
I RIFLESSI SULL'ECONOMIA MONDIALE


Gli obiettivi sono chiari, e peraltro dichiarati secondo la logica dell'America First. I loro risultati sono invece del tutto ipotetici, perché esposti a due variabili imprevedibili: la dinamica del negoziato interimperialista e quello dell'economia mondiale.

La prima reazione degli imperialismi concorrenti alla svolta protezionista americana appare diversificata. Gli imperialismi europei temono conseguenze serie per la loro UE: dovendo affrontare parallelamente la guerra dei dazi, l'emarginazione dal negoziato ucraino, l'annunciato disimpegno USA dal teatro europeo, le nuove spese del proprio riarmo.
Le regole europee prevedono che in fatto di relazioni commerciali il potere negoziale sia della Commissione, non dei governi nazionali. Ma ciò scarica sulla UE la contraddizione tra interessi nazionali diversi, tra chi è massimamente esposto sul mercato americano e chi lo è meno, tra chi è più esposto in un settore e chi in un altro, tra chi vuole intestarsi la guida di una replica europea (la Francia) e chi cerca a fatica una relazione privilegiata con Trump (l'Italia). In ogni caso, la forte crescita del peso del commercio internazionale nel PIL della zona d'euro (dal 31% del 1999 al 55% attuale) misura la maggiore esposizione dell'Europa sul fronte della guerra commerciale rispetto ai propri concorrenti. L'economia delle relazioni transatlantiche pesa per ben il 33% del PIL mondiale. Dunque a Bruxelles la parola d'ordine è cercare altri mercati di esportazione, come il Mercosur e il Messico.

La Cina ha invece risposto immediatamente agli USA con una ritorsione immediata e consistente. È la reazione obbligata della grande potenza avversaria. L'imperialismo cinese cerca di trarre un vantaggio politico dalla svolta americana, provando ad offrirsi agli imperialismi europei e persino al Giappone come interlocutore affidabile in quanto garante delle regole del WTO. L'incontro fra i ministri degli Esteri di Cina, Giappone, Corea del Sud attorno al tema delle proprie relazioni commerciali sta in questo quadro. Così come i segnali di fumo tra la Cina e l'Unione Europea: terrorizzata dal rischio di un'invasione di merci cinesi a basso costo sui propri mercati, quale conseguenza del protezionismo USA, ma al tempo stesso interessata ad aprirsi un proprio spazio di manovra capace di rafforzare il proprio potere negoziale con gli USA.
Nelle relazioni interimperialiste, la tradizionale guerra di posizione sembra lasciare il passo ad una sorta di guerra di movimento.

L'aprirsi di una guerra commerciale dispiegata all'insegna del protezionismo può avere un forte impatto sull'economia mondiale. Il mercato globale è la somma dei mercati nazionali e continentali. Se ogni paese o blocco imperialista protegge il proprio mercato con più elevate barriere tariffarie contro i capitalismi rivali, la risultante inevitabile sarà la contrazione del mercato mondiale. Non a caso il tema di una possibile recessione è entrato prepotentemente nel confronto internazionale, e nella stessa dinamica delle Borse mondiali. I ripetuti crolli delle azioni e il calo vistoso del prezzo del petrolio sono sintomi eloquenti della grande paura di una recessione.


L'INCOGNITA SULLA TENUTA DEL BLOCCO SOCIALE DI TRUMP, E I SUOI RIFLESSI SULLA POLITICA MONDIALE

All'interno degli USA il blocco sociale di consenso raccolto da Trump sarà messo alla prova degli effetti del protezionismo. A differenza che in Europa (e a maggior ragione in Italia), l'investimento in azioni di Borsa coinvolge negli USA un ampio settore di aristocrazia operaia e della classe media, un pezzo importante della base sociale del trumpismo. Non a caso Trump si è affrettato a rassicurare la propria base elettorale circa i futuri effetti miracolosi della svolta protezionista. Certo è che il fascino retorico dei suoi annunci dovrà confrontarsi con la dura materialità del portafoglio. Lo stesso ambiente del grande capitale americano, ricollocatosi attorno a Trump, dà segni di nervosismo.

Quel che è certo è che la tenuta di Trump sul versante interno sarà decisiva per la stessa credibilità della sua politica estera. E non solo sul versante economico. L'obiettivo politico-strategico della separazione della Russia dalla Cina dipende dalla tenuta interna del trumpismo. La stabilità politica istituzionale della Cina è infatti ben superiore a quella di Trump, che dovrà affrontare fra due anni il delicato passaggio delle elezioni di medio termine. Il regime di Putin è lusingato e tentato dall'offerta americana di un ruolo mondiale di grande potenza, ma può pensare di cambiare cavallo solo in presenza di garanzie politiche affidabili, a partire dalla tenuta regime trumpiano. È un caso che Trump abbia iniziato ad alludere ad un suo possibile (ma improbabile) terzo mandato, contro i limiti della Costituzione americana?


PER L'INTERESSE INDIPENDENTE DELLA CLASSE OPERAIA INTERNAZIONALE

Il protezionismo ,come sempre, ha e avrà un portato ideologico. Ogni paese e/o blocco imperialista cercherà di arruolare i salariati nella propria guerra commerciale contro gli imperialismi rivali. Trump invoca il sostegno della classe operaia americana contro i «parassiti» europei che hanno truffato l'America. Gli imperialismi europei cercheranno il consenso dei propri operai a possibili ritorsioni contro “l'irresponsabile” amministrazione americana. L'imperialismo cinese rafforzerà il proprio richiamo nazionalista a sostegno della replica protezionista anti-USA. Ovunque si cercherà di contrapporre i salariati ad altri salariati nel nome degli interessi della propria nazione, o schieramento, imperialista.

Ma la classe operaia internazionale non ha alcun interesse a farsi arruolare nelle guerre commerciali tra i capitalisti e i loro Stati. Ha invece interesse a lottare per i propri interessi indipendenti e un'alternativa di società.

Il protezionismo avrà conseguenze sociali per la classe operaia. Trascinerà ovunque un aumento dei prezzi e dunque un erosione dei salari, una diffusa riorganizzazione delle catene produttive, con il taglio di posti di lavoro e di diritti sindacali, una possibile recessione, messa sul conto dei proletari.
La rivendicazione della scala mobile dei salari, della ripartizione del lavoro attraverso la riduzione drastica dell'orario a parità di paga, della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle imprese che chiudono e licenziano, può e deve essere la prima risposta unificante nella tempesta in arrivo: in ogni paese, su scala continentale, su scala mondiale.

Se i capitalisti si fanno la guerra prendendo in ostaggio i propri salariati, i salariati hanno interesse a difendere il proprio interesse comune, al di là di ogni divisione nazionale. L'alternativa al protezionismo non è l'improbabile ritorno al libero scambio della precedente globalizzazione. È l'alternativa al capitalismo, al di là di ogni divisione di frontiera.
Sviluppare la coscienza politica di questa verità rivoluzionaria è il compito dei marxisti rivoluzionari, ad ogni latitudine del mondo.

Partito Comunista dei Lavoratori

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