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Le confessioni di un ex ministro con la faccia di bronzo

29 Novembre 2024

Rifondazione a congresso. Ferrero va alla guerra contro Acerbo

acerboferrero


È guerra dentro il Partito della Rifondazione Comunista. Paolo Ferrero, già “líder máximo” del partito e ancora fondamentale figura pubblica, con il sostegno di circa il 45% dei dirigenti del PRC è partito lancia in resta per disarcionare l’attuale segretario Maurizio Acerbo, che gode direttamente del sostegno di solo il 35% dei dirigenti, ma è appoggiato dal gruppo “partitista” di Pegolo e Tecce (20%). Per cui il prossimo drammatico congresso di Rifondazione vedrà due documenti contrapposti.
Oltre alle questioni personali, ci sono certamente degli elementi politici. Nella sostanza, Acerbo e i suoi alleati sperano di creare le condizioni per partecipare un domani al “campo largo” con il PD della Schlein. Ferrero, invece, vorrebbe cercare di creare una coalizione riformista di sinistra stabile con Potere al Popolo (salvo eccezioni in caso di convenienza: in Sardegna i ferreriani si sono presentati in una coalizione totalmente borghese).
Detto così, si potrebbe pensare che Ferrero sia a sinistra dei suoi avversari. In un certo senso questo è vero, ma se a una minestra di acqua e sabbia si aggiunge un po’ di sale non cambia molto. Tra l’altro Ferrero, anche per raccogliere gli elementi più stalinisti del partito e per favorire le prospettive, non facili, di rapporto con Potere al Popolo, è ormai arrivato su posizioni campiste, esaltando i BRICS e la loro politica, cioè scegliendo uno dei due campi imperialisti oggi presenti nella sfida mondiale, con posizioni catastrofiste-campiste.

Se questo è il quadro generale, c’è un particolare da aggiungere. Le due frazioni in lotta hanno depositato i documenti congressuali. Qui sotto riportiamo l’inizio del capitolo sul bilancio della storia del PRC (documento Ferrero). Qui si sviluppa una polemica contro Acerbo dichiarando che è totalmente falso dire che la crisi di Rifondazione nasce dal congresso di Chianciano (2008, dove la corrente di Ferrero sconfisse quella di Vendola), ma (citiamo):

«L’estromissione di Rifondazione dal Parlamento e la sua crisi non nascono dal congresso di Chianciano ma prima, ed erano palesemente maturate nella fase in cui apparivamo fortissimi, stavamo in maggioranza con Mastella, Gentiloni, Dini e Rutelli ed eravamo tutti i giorni in televisione. Far partire la sconfitta del progetto di Rifondazione da Chianciano determina un unico risultato: costruire una narrazione in cui qualunque ammorbidimento e compromesso nel rapporto con il PD rappresenterebbe un fatto positivo e di buon senso realista rispetto ad una linea “troppo rigida”. La realtà ci dice che la crisi di Rifondazione Comunista è nata quando era nella maggioranza che sosteneva il governo Prodi. Quella collocazione ne ha corroso pesantemente la credibilità, il valore simbolico e i rapporti di massa costruiti dopo le giornate di Genova, nella costruzione del movimento altermondialista e nell’attività di opposizione al governo Berlusconi. A meno che non si voglia usare Rifondazione Comunista per giocare al gioco dell’oca, noi riteniamo sia necessario prendere atto che è la collocazione in maggioranza con il centro sinistra che aperto la nostra crisi come, del resto, la partecipazione alla maggioranza del primo governo Prodi aveva prodotto un nulla di fatto sul piano dei risultati concreti e una pesante scissione del Partito».

Benissimo! Solo c’è un piccolo particolare. Quando Rifondazione stava in maggioranza con Mastella, Gentiloni, Dini e Rutelli, Paolo Ferrero era principale sostenitore con Fausto Bertinotti dell’alleanza appunto con i Mastella, Gentiloni, Dini e Rutelli. E quando finalmente i nostri eroi riformisti riuscirono a realizzare i loro sogni, entrando nel governo Prodi nel 2006, Ferrero divenne ministro di quel governo (l’unico ministro del PRC).

In quelle situazioni in cui il PRC era nella maggioranza (1997-98), Ferrero ha sostenuto, tra altre decine di gravi schifezze, la riduzione dell’aliquota massima e contemporaneamente l’aumento di quella minima delle tasse (primo governo della Repubblica a fare una tale operazione); la flessibilità lavorativa selvaggia (pacchetto Treu); l’abolizione dell’equo canone sugli affitti, e non si oppose al blocco navale contro i migranti con la strage degli albanesi della Pasqua 1997 nel canale d’Otranto.
Poi, nel 2006-2007, in seno al governo, Ferrero ha votato tra l’altro, senza alcuna obiezione o riserva: riduzione delle tasse per i capitalisti (quattro miliardi l’anno solo per banche e assicurazioni); aumento delle spese militari (17% in un solo anno); finanziamento alla missione militare imperialista in Afghanistan, oltre ad appoggiare (fuori dal Consiglio dei ministri) l’unico caso ufficiale di costruzione di un muro contro gli immigrati (dall’amico sindaco di Padova).

Addirittura, quando un ormai dimenticato Franco Giordano, un ingenuo dirigente del partito messo a fare il segretario come “uomo di paglia” per il duo Bertinotti-Ferrero, alla fine del 2007, rendendosi conto dei problemi di caduta di immagine del partito, avanzò timidamente l’idea del passaggio del PRC dalla presenza nel governo all’appoggio esterno, non solo Bertinotti, ma anche Ferrero gli chiesero se fosse impazzito.

Pochi mesi dopo Clemente Mastella (e non Bertinotti, come spesso si dice) ritirò il suo partito dal governo e lo fece cadere, ponendo fine all’esperienza governativa di Rifondazione.

Questa la vera storia del ruolo da ministro borghese che il nostro “prode” ha avuto in quegli anni, e che ha portato al disastro il PRC e – quello che più conta – l’insieme dell'avanguardia politica di sinistra in Italia.

Naturalmente Ferrero si guarda bene dal dire che c’era chi, piccolo ma non insignificante, nell’ambito del partito combatté le posizioni che oggi lui rivede, molto parzialmente e totalmente in maniera falsa e strumentale. Eravamo noi, che dicevamo che questa politica era peggio che riformista, filopadronale e anche (visto il voto per il finanziamento della guerra in Afghanistan) pro imperialista. Eravamo noi di Progetto Comunista, di cui il PCL è il continuatore diretto. Avevamo ragione quando dicevamo che quella politica era in primo luogo di tradimento della classe operaia, ma che avrebbe anche portato un partito nato, come dichiarato, “cuore dell'opposizione” al disastro (mentre qualcun altro si metteva un po’ in mezzo, parlando appoggi esterni, critiche, ma senza mai negare il progetto di sostenere il governo dei capitalisti).

Ricordare che una proposta politica contraria alla sua collaborazione di classe, una proposta veramente comunista esisteva nel PRC e fu costretta a uscire per non morire riformista, non poteva essere possibile per un voltagabbana per cui i principi politici valgono evidentemente meno delle scarpe che indossa.
Certo è difficile per noi militanti di un vero partito rivoluzionario capire come ancora tanti compagni e compagne sinceramente di sinistra e che si sentono comunisti, la maggioranza dei quali ha vissuto queste esperienze, possano restare in un partito come il PRC con appunto la sua storia e la sua reale politica di subordinazione alla borghesia. Ma questo, purtroppo, non è una novità, anzi è una costante della tragica storia del movimento operaio. Come diceva Trotsky, il pensiero umano tende ad essere conservatore, e nella sua specificità questo vale anche per l’avanguardia del proletariato.

Certo se tutti e tutte coloro che avrebbero dovuto rompere logicamente col PRC insieme a noi nel 2006 e poi negli anni seguenti lo avessero fatto, oggi il nostro certo combattivo e coerente, ma piccolo PCL sarebbe un partito ancora minoritario nella classe, ma con iscritti e attorno, una gran parte della sua avanguardia in lotta contro il capitalismo e tutti gli imperialisti, insieme a decine di migliaia di altri militanti marxisti rivoluzionari del mondo. Decine di migliaia di militanti e iscritti si sono dispersi, ma non è mai troppo tardi. Perché essere più onestamente riformisti, come Acerbo e Galieni e Pegolo e Tecce, se è moralmente meglio, politicamente non lo è per nulla.
Venga finalmente, di fronte a tutto questo, la comprensione per ogni comunista che il suo posto è fuori da Rifondazione e insieme a noi del Partito Comunista dei Lavoratori.

Franco Grisolia

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