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Storia del colonialismo sionista (III)

Dall'invasione del Libano a oggi

9 Gennaio 2025

Terza e ultima parte

israele-terzaparte


Prima parte

Seconda parte


ANNI OTTANTA

1981: una nuova aggressione israeliana, in collaborazione con gli Stati Uniti, questa volta contro l’Iraq, con il bombardamento della centrale atomica di Bagdad. Azione impunita che causa undici vittime, oltre a fungere da trampolino di lancio per la prossima invasione del Libano, che puntava a creare un regime satellite e all'eliminazione dei profughi palestinesi e dei quadri dell’OLP.
Gli israeliani avanzeranno con grandi difficoltà, scontrandosi con le forze di sinistra libanesi e con i guerriglieri palestinesi, ma verranno sostenuti militarmente anche dagli Stati Uniti, in particolare nel bombardamento di Beirut e nell’allontanamento delle truppe di pace internazionali. Bashir Gemayel, il falangista designato nuovo presidente del Libano col sostegno d’Israele e Stati Uniti, verrà assassinato in un attentato compiuto da un cristiano libanese; gli israeliani, in risposta, entrano a Beirut, violando accordi precedenti, e circondano i campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila, dove coprono un’orribile strage compiuta dai falangisti, che assassinano impunemente oltre 3000 persone, tra cui anche bambini. Gli israeliani, non paghi del loro ruolo, cercheranno anche di nascondere la strage interrando i corpi con i bulldozer. Quest’orrore scatenerà ingenti manifestazioni persino nel cuore dello stato sionista, ma ciò non comporterà ugualmente la punizione dei responsabili da parte delle istituzioni: lo stato borghese, in fin dei conti, non processa sé stesso, e lo sappiamo molto bene noi marxisti rivoluzionari.

Nel 1985 avviene l’ennesima azione militare di Israele al di fuori dei confini della Palestina: viene bombardata la sede dell’OLP a Tunisi con l’appoggio della flotta statunitense, provocando decine di morti. Seguirà una condanna da parte delle Nazioni Unite, che avrà ben scarso effetto.
È in questo periodo che avviene il sequestro dall’Achille Lauro, che provocherà acute tensioni internazionali tra lo stato italiano e i suoi alleati.

Nel 1987 scoppia l’intifada. Il 5 giugno la popolazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza entra in sciopero generale. Questi territori erano una fonte di sfruttamento massiccio da parte dei sionisti, dal punto di vista delle risorse economiche, idriche e della manodopera a basso costo. Allo stesso tempo, decine di migliaia di coloni armati hanno continuato a occupare territori. A far scoppiare definitivamente la rivolta è l’ennesimo omicidio stradale causato da un camion delle forze di sicurezza israeliane, che uccide quattro operai l’8 dicembre, scatenando il giorno dopo una immensa rivolta che prenderà il nome di intifada, condotta in larga misura da giovani vissuti sempre sotto l’occupazione e che sono anche la maggior parte della popolazione palestinese.
La rivolta non ha una direzione capace di fronteggiare il nemico sionista, e giovani armati di pietre si contrappongono al fornitissimo esercito israeliano. Il risultato saranno 1600 morti palestinesi e nuove distruzioni di massa, tra cui 186 mila olivi, oltre alla repressione generalizzata.
Non mancano dei risultati positivi, come il rilancio della lotta, anche a livello internazionale, al punto di far ricominciare le trattative con gli occupanti e a creare confusione tra le file dei sionisti, le cui forze non smettono però di assassinare le élite e le avanguardie palestinesi.


ANNI NOVANTA

L’OLP, nel frattempo, compie il passo definitivo verso l’opportunismo, e riconosce definitivamente l’entità sionista come stato legittimo, adottando la formula dei “due popoli, due stati” tanto cara alla sinistra borghese e al pacifismo più sciovinista, di grande successo in questi ultimi anni. I seguaci di Arafat, in altre parole, cercano di mostrare la propria buona volontà dinanzi alle borghesie internazionali. Degli originari valori rivoluzionari dell’OLP non è rimasto molto, a questo punto, e le cose, nella pratica, non cambiano per il proletariato palestinese. Si susseguono nuovi omicidi di lavoratori e di giovani.

Negli anni Novanta avverranno le trattative di Oslo, che porteranno alla nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese, mentre la Giordania riconosce e avvia rapporti normalizzati con Israele nel 1994. L’accordo di Oslo non menzionava la formazione di uno stato palestinese, che nemmeno il tanto celebrato primo ministro israeliano Yitzhak Rabin intendeva cedere (costui verrà assassinato successivamente da un militante di destra sionista).
A dispetto di ciò, l’OLP era disposto a rinunciare a una risoluzione corretta della questione pur di creare uno stato e avere una qualche forma di pace e stabilità. Vengono riconosciuti i confini sanciti nel 1967, cioè l’occupazione sionista è ormai trattata, erroneamente, come un fatto compiuto e irreversibile, a danno dei diritti nazionali dei palestinesi. Eppure, secondo la narrazione dei sionisti, sono i palestinesi a essere intransigenti e irrazionali: certo, hanno soltanto rinunciato a un diritto dopo l’altro! Il numero dei coloni intanto aumenta a dismisura in quelli che dovrebbero essere i territori dello “stato palestinese”, anche se i mitici accordi dovrebbero bloccare i nuovi insediamenti.

I territori in cui era prevista la costituzione del presunto stato palestinese riguardavano soltanto il 22% della Palestina, ovvero più o meno Cisgiordania e striscia di Gaza. Come se questa non fosse già una sconfitta cocente, questo territorio è stato suddiviso in "zona A", una minuscola parte della Cisgiordania sotto amministrazione dell’Autorità Nazionale Palestinese; una "zona B", anch’essa sotto amministrazione dell’ANP ma sotto il controllo delle forze israeliane coadiuvate dalla polizia palestinese che praticamente collabora con gli occupanti; il resto, il 70% del territorio, è sotto il controllo esclusivo dei soldati israeliani. Tra una zona e l’altra ci sono pesantissime forme di controllo che ne annullano la continuità territoriale.

Questi i grandi risultati della diplomazia collaborazionista, per non parlare del fatto che lo stato israeliano ovviamente ha completamente ignorato il milione e oltre di rifugiati palestinesi negli stati vicini per “mancanza di spazio”, mentre nello stesso tempo importa un numero elevatissimo di russi, la cui madrepatria è in ottimissimi rapporti con Israele. Elettoralmente, poi, vince la destra sionista di Netanyahu, ma anche quando sarà il laburista Barak al governo non cambierà pressoché nulla, e non mancheranno gli attentati di fanatici sionisti, come quello di Baruch Goldstein, statunitense, responsabile del massacro di Hebron nel 1994 (ventinove persone assassinate), poi venerato come martire dalle "mani pulite e dal cuore puro" dai reazionari sionisti.


ANNI DUEMILA

La miseria ottenuta dai trattati di pace sottoscritti dall’OLP finisce per naufragare nel 2000, dopo la visita di Ariel Sharon alla moschea di al-Aqsa e al Nobile Santuario, effettuata con l’intento di affermare che la sovranità sui due luoghi sacri sarebbe sempre stata israeliana, e per provocare deliberatamente i palestinesi, così che a fine settembre scoppia la seconda Intifada.
Le proteste di massa, non violente, sono prontamente e duramente stroncate, spingendo rapidamente i palestinesi a militarizzarsi. Seguono delle nuove Sabra e Shatila, mentre gli israeliani occupano città e campi profughi con i loro carrarmati e impediscono alla commissione d’inchiesta dell’ONU di entrare in Palestina.
I territori in mano all’ANP sono subito occupati, e Israele innalzerà il celebre muro per segregare i palestinesi, palesando il regime dell’apartheid anche dinanzi ai più sciocchi negazionisti. Gaza e Cisgiordania vengono separate e divise, le forze dell’ANP sono distrutte, e Israele si rafforza notevolmente in queste aree. Sharon, nel frattempo, diviene Primo ministro: non dimentichiamoci che questo individuo è tra i responsabili della strage di Sabra e Shatila.

Nel 2005 la resistenza palestinese riesce a far ritirare le forze militari e i coloni da Gaza, che Ariel Sharon decide di rimuovere ufficialmente soltanto perché cominciano a essere un costo eccessivo e rischiano di subire i bombardamenti dello stesso regime israeliano, che non potrebbero più essere indiscriminati. Ciò non ha impedito a Israele di fingere di ricercare la pace e di non occupare quel territorio, ma nella realtà dei fatti, in questo modo, è stato congelato il processo di pace e impedita la creazione di uno stato palestinese. Cioè, il processo politico con i palestinesi viene accantonato, e ogni volta che l’ANP accusa Israele di allargare la colonizzazione della Cisgiordania, i sionisti giocano la carta secondo cui avevano rinunciato a Gaza, scaricando alle autorità palestinesi la responsabilità di scendere a compromessi. L’ANP diventa ancora più moderato e docile, e sulla colonizzazione sionista si imprime una nuova accelerazione.

Nelle elezioni per il rinnovamento del governo dell’ANP nel 2006 i risultati sono curiosi, ma anche abbastanza ovvi: Hamas ha la maggioranza, non essendosi mai piegato al processo di pace, mentre Fatah è secondo. Il Fronte Popolare, invece, ha poco più del 4% dei voti: in fin dei conti, a far da continua stampella di sinistra agli altri si finisce per regalare i voti e la popolarità a questi, e a perdere i propri sostenitori. Questo governo subisce l’immediata repressione del regime israeliano e dello stesso ANP, che rimuove il presidente eletto per sostituirlo con un altro più gradito.

In fin dei conti, le autorità dell’OLP/ANP/Fatah erano pesantemente screditate e, oltretutto, reagivano con la repressione del dissenso in Cisgiordania, ingraziati anche dall’addestramento e dal sostegno statunitense. L’ANP ha abbandonato qualsiasi velleità rivoluzionaria e di liberazione, cercando vanamente di dimostrare di essere degno e capace di amministrare uno stato dinanzi all’opinione pubblica internazionale, arrivando a creare un programma di coordinamento con le forze israeliane e divenendo in questo modo un organo fiancheggiatore dell’occupazione sionista, che viene sollevata così da numerose responsabilità.
In Cisgiordania l’occupazione è permanente, a causa della presenza ininterrotta di forze militari, mentre Gaza è assoggettata con l’assedio e i bombardamenti. Gerusalemme Est, invece, è sotto occupazione, e anche se annessa (ma ciò non è riconosciuto dalla comunità internazionale), è ancora a maggioranza palestinese, a cui però basta poco per perdere la residenza nella città. L'area è stata ed è sottoposta a pesanti sforzi di colonizzazione e di progressiva pulizia etnica, così come anche la toponomastica è progressivamente sostituita.

All’interno della Linea Verde, invece, i palestinesi sono pesantemente discriminati, a differenza di ciò che sostiene Israele nella teoria, ovvero che vi sia la parità tra tutti i cittadini. Peccato che i diritti della popolazione dello stato d’Israele derivino dalla nazionalità, principio che suddivide la popolazione anche giuridicamente. La legge prevede la discriminazione della popolazione non ebrea. Tutti gli sforzi intesi a cambiare questo stato di cose, che, se realizzato altrove, nessuno avrebbe timore di definire suprematismo e razzismo istituzionale, vengono affossati in quanto minerebbero “l’ebraicità di Israele”. Se c’è bisogno di un simile corpus legislativo, allora forse quel territorio non è così ebraico, e dimostra una volta di più di essere un regime fondato su concetti segregazionisti, gerarchici e colonialisti.
Inoltre, il possesso della terra al di là della Linea Verde è vietato ai cittadini palestinesi dello stato d’Israele. La distribuzione di proprietà e locazioni ai soli ebrei è prevista e sostenuta anche da agenzie statali, create appositamente a questo scopo. A ciò viene talvolta contestata la risibile presenza di un miserando numero di palestinesi giudici o in posizioni simili, come se singoli casi eccezionali fossero sufficienti a cambiare o a mistificare la realtà delle cose.

Nel 2006 su spinta del successore di Sharon, Olmert, appoggiato anche dai laburisti, avviene un nuovo attacco contro Gaza, causa di 660 morti, e una nuova invasione del Libano, respinta da Hezbollah. A Olmert succederà Netanyahu.
Israele, con pretesti vari, causa altre migliaia di vittime, intentando nuove guerre contro Gaza nel 2008 con l’Operazione Piombo Fuso, che provoca altre centinaia di vittime palestinesi, nel 2012 con l'Operazione Pilastro di Difesa (171 morti palestinesi causati dai bombardamenti israeliani), i ripetuti interventi e bombardamenti in Siria nel corso della guerra civile (a partire dal 2013, e questi interventi tecnicamente non sono mai terminati) e nel 2014, quando altri bombardamenti uccidono migliaia palestinesi a fronte di 66 israeliani caduti. Alla faccia della popolazione indifesa sotto costante pericolo.
L’industria militare israeliana ne ricava un certo prestigio: sulle armi ora può scrivere “testato in battaglia”. Gaza diventa una prigione a cielo aperto, devastata a più riprese, inquinata e sovrappopolata, e gli abitanti non possono spostarsi.

Nel 2018 i rifugiati di Gaza organizzano la Grande marcia del ritorno, che spinge decine di migliaia di persone a manifestare sul confine assediato. La risposta sionista è stata quella di scatenare cecchini contro gli inermi manifestanti, in quanto si sarebbe trattato di terroristi e di militanti di Hamas. Per dimostrarlo hanno addirittura prodotto dei falsi. Più di duecento morti e migliaia di feriti.

Le politiche coloniali interne portano a una legge del 2018 che sancisce che Israele è uno Stato esclusivamente ebraico. In questi anni la soluzione dei “due Stati, due popoli”, ingiusta sin dalle sue fondamenta, perde qualsiasi credibilità. Seguono altri bombardamenti a tappeto nel 2021, mentre nel 2023 a seguito di una sortita palestinese organizzata da Hamas, segue ciò abbiamo ancora sotto gli occhi, ovvero l’inizio dell’ennesima pratica genocida e coloniale su vasta scala.





Letture consigliate sul tema

Decolonizzare la Palestina. La Palestina attraverso il rainbow washing di Israele, Edizioni Anarcoqueer, 2023
L. Brenner, 51 documents: Zionist Collaboration With the Nazis, Barricade Books, 2002
A. Léon, Il marxismo e la questione ebraica, Samonà e Savelli, 1968
K. Marx, La questione ebraica, Editori Riuniti, 1974
N. Weinstock, Storia del sionismo. Dalle origini al movimento di liberazione palestinese, Massari Editore, 2006

"Israel recognises Western Sahara as part of Morocco", Al Jazeera, 17 luglio 2023
"Jerusalem: new attack by Jewish settlers (and police) on the Armenian quarter", Asia News, 4 aprile 2024
"Myths database", Decolonize Palestine
"Name The Fascist: Jewish Defense League", VPS Reports, 27 giugno
"Not only equal in battle: Druze, Circassians launch protests against discrimination", The Times in Israel, 30 giugno 2024
"Red Flag Alert - Armenian Quarter of Jerusalem", Lemkin Institute, 6 aprile 2024
Abofoul, Ahmed, "Israel’s Ecological Apartheid in the Occupied Palestinian Territory", Opinio Juris, 22 ottobre 2021
Abunimah, Ali, "Israeli lawmaker’s call for genocide of Palestinians gets thousands of Facebook likes", The Electronic Intifada, 7 luglio 2014
Bacchiocchi, Federico, "Antisemitismo, antisionismo e destra", Partito Comunista dei Lavoratori, 1 febbraio 2024
Cheterian, Vicken, "The Hypocrisy Behind Netanyahu Bringing Up the Armenian Genocide", Daraj, 19 aprile 2024
Debre, Isabel, "Israeli arms quietly helped Azerbaijan retake Nagorno-Karabakh, to the dismay of region’s Armenians", AP News, 5 ottobre 2023
Ecoretti, Alessio, "Armeni e palestinesi, due popoli in lotta contro imperialismo e colonialismo", Partito Comunista dei Lavoratori, 27 febbraio 2024
Elia, Nada, "Ending Zionism is a feminist issue", The Electronic Intifada, 24 luglio 2014
Ghosheh, Lama, "Denying Motherhood in Gaza", Institute for Palestine Studies, 31 ottobre 2023
Irving, Sarah, "Australian Labor Party spins Israel’s occupation as feminist", The Electronic Intifada, 25 novembre 2014
Lewis, Daniel, "Labour's Zionism has a past, but should not have a future", Vashti, 26 giugno 2024
Melkonian, Markar, "Jerusalem Armenians Under Attack While Gaza Burns", Hetq, 23 luglio 2024
Najjar, Farah, "What is behind Bahrain’s normalisation deal with Israel?", Al Jazeera, 13 settembre 2020
Newsinger, John, "Labour has backed Zionist terror for 100 years", Socialist Worker, 11 ottobre 2023
Phillips, Christopher, "Azerbaijan: Israel’s quiet friend", Middle East Eye, 25 giugno 2024
R., Stefano, "Lotta Comunista e la questione nazionale", Partito Comunista dei Lavoratori, 4 giugno 2024
Rahman, Prema, "Faithwashing and the Censorship of Palestine Advocacy in Interfaith Engagement", Medium, 10 giugno 2021
Samaha, Nour, "JDL and far-right parties find common ground", Al Jazeera, 29 dicembre 2011
Suchanek, Martin, "The strategic crisis of the PFLP and the Palestinian left", Workers Power, 29 luglio 2024

Alessio Ecoretti

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