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Imperialismo italiano in armi
I piani di spesa militare col sostegno bipartisan
29 Luglio 2024
Mentre la fame cresce nel mondo, in particolare nell'Africa centrale e dell'Ovest, secondo gli stessi dati forniti dalle Nazioni Unite; mentre il G20 smentisce le ingenue promesse di una tassazione mondiale, fosse pure simbolica, dei “superricchi” nel nome del rispetto delle sovranità nazionali (imperialiste); mentre i sistemi sanitari in dissesto continuano ovunque a fare da bancomat per pagare il crescente debito pubblico alle banche (coi relativi interessi), la corsa alle armi nell'intero pianeta lambisce i 3000 miliardi di investimenti annui, coinvolgendo senza eccezione tutti i poli imperialisti, d'Occidente e d'Oriente.
L'imperialismo italiano partecipa pienamente a questa corsa. Il fiore all'occhiello è oggi la partecipazione del gruppo Leonardo alla fabbricazione del caccia più grande del mondo, in un consorzio con la britannica BAE Systems e con la giapponese Mitsubishi Heavy Industries. Si tratta del GCAP (Global combat air programme).
Il nuovo governo Labour, impegnato ad accrescere la spesa militare britannica sino al 2,5% del PIL, ospiterà a Londra la struttura associativa del grande affare. La struttura coinvolge non solo le aziende ma i rispettivi ministeri della difesa. Ogni paese e ogni partner industriale avrà il 33% delle quote del consorzio. Il governo Meloni, col ministro Crosetto, ha firmato il trattato internazionale che presiede l'accordo.
In realtà la partecipazione italiana al finanziamento del caccia più grande del mondo iniziò col primo governo Conte (quello che oggi recita il "pacifismo"). Meloni e Crosetto vi hanno semplicemente aggiunto il carico di altri sei miliardi. Secondo il Documento programmatico pluriennale della Difesa italiana per il triennio 2023-2025, la spesa prevista solo per il grande caccia ammonta a ben 8,8 miliardi. Cui si aggiunge: la richiesta d'acquisto di altri 24 aerei da guerra Eurofighter per 7,5 miliardi (aerei innovativi «tanto da guidare squadriglie di droni futuribili e lanciare missili cruise a lungo raggio» (La Repubblica, 14 luglio); l'acquisto di 270 tank Panther per ulteriori 8 miliardi; l'acquisto di mille cingolati Lynx, per un costo di 15 miliardi. Il quotidiano di Confindustria Il Sole 24 Ore dichiara a ragione: «l'industria militare festeggia» (23 luglio).
È interessante notare non solo la continuità strategica della corsa alle armi tra i diversi governi italiani dell'ultimo quinquennio ma l'appoggio entusiasta alla retorica militarista da parte della stampa borghese progressista. Quella che si vuole all'opposizione del governo Meloni .
«Alcune decisioni prese dal governo di Giuseppe Conte in epoca di pace con l'investimento di una decina di miliardi si sono rivelate tecnicamente lungimiranti: l'acquisto di una decina di velivoli radar e da contromisure elettroniche, diventati ora protagonisti della battaglia dei cieli. O i quattro sottomarini U212 NFS per vigilare sulle arterie nei fondali e i missili contraerei commissionati sotto Draghi per dare uno scudo alla Penisola che era rimasta priva di protezioni. In pratica si tratta di mettere in campo gli elementi per affrontare un conflitto su larga scala: una prospettiva dimenticata dalla caduta del Muro di Berlino.»
Sono le parole auliche e inquietanti con cui Repubblica (14 luglio) saluta plaudente la corsa alle armi. Meloni e Crosetto sono presentati nella veste di degni continuatori della corsa alle armi dell'Italia tricolore, in cerca di riscatto dalla memoria dell'Italietta. L'unica preoccupazione del quotidiano “progressista” sono i ritardi industriali e le difficoltà economiche di spesa. Nessun dubbio invece sull'indirizzo di marcia:
«Il riarmo italiano deve fare i conti con due scenari principali, evidenziati negli indirizzi strategici appena pubblicati da Crosetto. Da una parte gli impegni NATO... dall'altro la tutela dell'interesse nazionale, con la priorità politica di creare una potente forza da sbarco autonoma e interforze con caccia F35B, truppe anfibie, missili cruise. Questa task force potrà anche giocare un ruolo nell'Indopacifico, come testimonia la spedizione asiatica del gruppo d'assalto guidato dalla portaerei Cavour. Secondo le direttive del ministro, la forza anfibia dovrà essere pronta ad agire nel Mediterraneo nel 2025 e arrivare più lontano nel 2030» (La Repubblica, 14 luglio).
Chiaro? L'interesse superiore dell'imperialismo italiano travalica i confini del governo a guida postfascista.
Non è un caso se la partecipazione italiana alla missione militare nel Mar Rosso contro gli houthi e a sostegno del regime sionista ha avuto un sostegno parlamentare di larga unità nazionale. Né è un caso se il piano Mattei in Africa, al seguito di ENI, ha l'appoggio trasversale dei partiti borghesi di governo e di opposizione, salvo le beghe tra le diverse cordate degli interessi coinvolti.
L'Italia imperialista ha la sua bussola. Occorre darne una al movimento operaio.