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Lotta Comunista e la questione nazionale

Il revisionismo antileninista alla prova della Palestina

4 Giugno 2024
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La nostra nota su Lotta Comunista e i fatti della Statale ha fatto discutere. È un bene. Anche alcuni militanti o dirigenti di Lotta Comunista hanno scelto di interloquire con la nostra critica. In alcuni casi con parole sprezzanti, in altri casi con serietà. Non ci occuperemo dei primi. Rispondiamo volentieri ai secondi. Perché per noi, per la tradizione del marxismo rivoluzionario, il terreno del confronto aperto e sincero all'interno del movimento operaio è un valore in sé. Avendo evitato di scendere sul terreno della calunnia contro LC, coltiveremo il terreno sgombro della politica.


ANCORA SUI FATTI DELLA STATALE E DELLA SAPIENZA

Alcune osservazioni critiche verso il nostro testo riguardano la dinamica dei fatti della Statale e della Sapienza. Ci è stato fatto osservare che dirigenti di alcune organizzazioni giovanili hanno apertamente rivendicato l'impedimento della vendita del giornale di Lotta Comunista, e che dunque si sarebbe trattato non di una contestazione politica ma di una violazione della democrazia. In realtà questa è una delle ipotesi che noi stessi avevamo avanzato. Non l'abbiamo esclusa e non la escludiamo affatto. Non ci stupisce peraltro che militanti o dirigenti formatisi nella tradizione stalinista possano vantare aperte violazioni della democrazia operaia.

Ma il punto che noi abbiamo posto non riguarda solo, o prevalentemente, il comportamento di alcuni attivisti “stalinisti”, quanto l'azione di LC, che si autodefinisce leninista.

In primo luogo non sappiamo se la scelta di dare un volantino contro la resistenza palestinese (su cui torneremo) agli studenti in lotta per la Palestina sia stata o meno una scelta politica mirata. Se così fosse, sarebbe stata per definizione una scelta politicamente “provocatoria”. Legittima naturalmente, ma sbagliata. Nessuno studente in lotta è “tenuto” ad accettare un attacco politico alla propria lotta, dentro il proprio spazio di lotta, in un contesto segnato dalla repressione dello Stato borghese contro il movimento stesso. LC ha subito o cercato l'incidente?

In secondo luogo, e soprattutto, la reazione a un'offesa subita è tenuta a un criterio elementare di proporzionalità. Un alterco vivace, persino uno spintonamento o scazzottata in un clima concitato, non autorizza una spedizione “militare” il giorno dopo, premeditata, organizzata, mirata a punire lo sgarro ricevuto. Qui siamo molto al di là di una legittima difesa, fosse pure eccessiva (che già sarebbe condannabile). Siamo alla riproposizione di un metodo nella relazione tra LC ed altre organizzazioni o soggetti di movimento che ha una lunga storia alle proprie spalle, e che abbiamo sempre contrastato.
Ribadiamo il paradosso dell'intera vicenda: Lotta Comunista lamenta ai propri danni lo stesso identico trattamento che essa stessa ha riservato in decine e decine di occasioni a formazioni concorrenti, grandi o piccole, che osavano intervenire nello spazio controllato da Lotta Comunista. A maggior ragione se quell'intervento osava criticare le posizioni di Lotta Comunista.

Purtroppo i nostri interlocutori, anche i più seri, eludono questo nodo. Che non riguarda aspetti formali ma invece sostanziali del proprio agire politico, e della formazione che si dà o non si dà ai propri stessi militanti. Quando ad esempio qualche giovane compagno di LC (non tra i più seri) sceglie in questi giorni di vantare sui social la pratica dei “calci in culo” alla Statale, temiamo sia vittima di una cattiva formazione politica. Cattiva, naturalmente, dal punto di vista della tradizione leninista, quella vera, cioè quella della democrazia operaia. La stessa che lo stalinismo distrusse.


MA LA QUESTIONE PRINCIPALE È DI MERITO

Ma non è su questo, principalmente, che intendiamo replicare, quanto sul merito politico della questione: sulla questione nazionale in generale, sulla questione palestinese in particolare.

Riconosciamo di essere incorsi in una imprecisione nel nostro testo precedente: sessanta anni fa Lotta Comunista sostenne la lotta del Vietnam, diversamente da quanto abbiamo scritto. Correggiamo volentieri questo errore, perché siamo corretti, e ci scusiamo. Ma ciò non cambia di una virgola, semmai paradossalmente sottolinea, l'assurdità della cancellazione della questione nazionale per l'intera epoca successiva. Una assurdità dal punto di vista dell'ABC più elementare del leninismo.

Secondo la sistematizzazione teorica di Lotta Comunista, la questione delle oppressioni nazionali e dunque dei movimenti di liberazione nazionale apparterrebbe all'Ottocento e al primo Novecento, cioè all'epoca delle rivoluzioni borghesi. Il Vietnam sarebbe stata l'ultima propaggine residuale della questione (in realtà non comprendendo, da parte di Lotta Comunista, la dinamica politica e sociale della rivoluzione vietnamita, ma è un altro discorso che affronteremo eventualmente in un'altra occasione). In tutta l'epoca successiva, lo sviluppo dell'imperialismo e la contesa tra le potenze imperialiste per la spartizione del pianeta avrebbero seppellito storicamente ogni vecchia questione nazionale riproponendo quale unico crinale dello scenario mondiale la divisione tra capitalisti e salariati.

Ma questa teoria per cui l'imperialismo, in ragione del proprio avanzamento, cancellerebbe le questioni nazionali, è l'esatto capovolgimento delle posizioni di Lenin. Più precisamente è il ripescaggio delle posizioni teoriche contro cui Lenin ingaggiò battaglia nello stesso movimento rivoluzionario.

Per Lenin proprio lo sviluppo dell'imperialismo e la lotta tra le potenze per spartirsi il mondo riproduce fisiologicamente le oppressioni nazionali. Non c'è imperialismo senza il saccheggio, l'oppressione, la negazione dei diritti di nazioni intere da parte di un pugno di nazioni dominanti. È il cuore della teoria dell'imperialismo in Lenin (1916). Era vero all'epoca delle colonie, quando le potenze imperialiste si contendevano la diretta proprietà delle colonie e dei rispettivi popoli, e resta vero nell'epoca postcoloniale, quando decine di paesi e di popoli, pur conquistando l'indipendenza politica formale, restano economicamente soggiogati dai monopoli imperialisti delle grandi potenze, dai loro Stati, dalla loro forza militare, dal cappio del debito estero, dal sequestro delle loro terre, materie prime, manodopera a basso costo.

La storia dell'Africa e della sua decolonizzazione è emblematica. Un intero continente di paesi da tempo formalmente indipendenti è oggi economicamente conteso tra le vecchie potenze imperialiste dell'Occidente e le nuove potenze imperialiste in ascesa di Cina e Russia. Naturalmente in ogni nazione dipendente, come ovunque, vi sono capitalisti e proletari, padroni e salariati. Ma negare l'esistenza di nazioni dipendenti, rimuovere la distinzione tra nazioni dominanti e nazioni oppresse, significa cancellare l'esistenza stessa dell'imperialismo. Significa buttare a mare il leninismo.


L'INTERNAZIONALISMO LENINISTA E LA QUESTIONE NAZIONALE

Questo allora significa che i comunisti diventano nazionalisti? Niente affatto. I comunisti non sono mai nazionalisti, neppure nelle nazioni oppresse. I comunisti sono sempre per definizione internazionalisti, dunque si battono per l'unità tra i salariati delle nazioni dominanti e i salariati delle nazioni oppresse, contro tutti gli imperialismi, vecchi e nuovi (a partire dal proprio), in piena autonomia politica da ogni borghesia nazionale.
Ma questo non significa nel modo più assoluto che i comunisti in quanto internazionalisti dovrebbero ignorare le oppressioni nazionali. Al contrario. I comunisti, proprio perché tali, devono sostenere ogni movimento di liberazione nazionale, lottare per prenderne la testa, saldare le rivendicazioni democratiche progressive di questi movimenti con la prospettiva socialista. È l'unica via per unire la lotta degli operai delle nazioni dominanti con la lotta degli operai delle nazioni oppresse nella prospettiva della rivoluzione mondiale.

L'internazionalismo leninista fu questo. Chi volesse approfondire la questione può studiare ciò che Lenin scrisse negli anni della grande guerra imperialista (Sul diritto di autodecisione delle nazioni nel febbraio-maggio 1914; La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all'autodecisione nel febbraio 1916; Risultati della discussione sull'autodecisione nel luglio 1916; Intorno a una caricatura del marxismo e all''economismo imperialistico' nell'agosto-ottobre 1916). Una mole enorme di riflessione ed elaborazione marxista. Si trattò, da parte di Lenin, del pieno recupero e attualizzazione, nel nuovo contesto dell'imperialismo, delle posizioni di Marx e di Engels a favore della liberazione irlandese e polacca contro le posizioni di Proudhon indifferente alle questioni nazionali. Sarà questa la politica del bolscevismo nella stessa Rivoluzione russa a favore del diritto di autodeterminazione di tutte le nazionalità oppresse dalla dominazione grande-russa (Ucraina inclusa). Sarà questa l'impostazione dei primi quattro congressi dell'Internazionale comunista, così come in occasione del Congresso dei popoli d'Oriente di Baku del 1920. Sarà questa l'impostazione ed elaborazione di Trotsky attorno alla teoria della rivoluzione permanente, in contrapposizione alla deriva staliniana, e ai blocchi di fronte popolare con le borghesie nazionali.

Lotta Comunista butta a mare questo intero patrimonio storico riducendo l'internazionalismo alla semplice solidarietà tra salariati al di là delle frontiere. Naturalmente questa solidarietà è decisiva e centrale. Ma come possono i salariati di una nazione dominante solidarizzare con i propri fratelli di classe della nazione oppressa senza riconoscere l'esistenza stessa di questa oppressione nazionale, negando i diritti della nazione oppressa, voltando le spalle alla lotta per l'egemonia proletaria nei movimenti di liberazione nazionale?
La sola risultante oggettiva di questa posizione antileninista è rimuovere la coerenza della lotta all'imperialismo, al proprio imperialismo, nelle metropoli, e regalare al nazionalismo borghese o piccolo-borghese le lotte dei popoli oppressi e la loro domanda di liberazione. Un disastro proprio dal punto della prospettiva della rivoluzione socialista internazionale. Per questo Lenin attaccò frontalmente ogni negazione della questione nazionale nelle file del movimento rivoluzionario, soprattutto quando tale negazione si copriva dietro i richiami all'internazionalismo.

Riferendosi all'educazione internazionalista della classe operaia Lenin scriveva:

«Può questa educazione [internazionalista]... essere concretamente la stessa per le grandi nazioni che ne opprimono altre e per le nazioni piccole e oppresse? Per le nazioni che ne annettono altre e per le nazioni annesse? No, è chiaro. Il cammino verso il comune obiettivo – l'eguaglianza completa, l'avvicinamento più stretto e l'ulteriore fusione di tutte le nazioni – procede qui per linee divergenti, proprio come, ad esempio, il percorso per giungere a un punto posto al centro di una pagina va verso sinistra se si parte da uno dei margini e verso destra se si parte dal margine opposto. [...]
L'educazione internazionalista degli operai dei paesi dominanti deve partire necessariamente dalla propaganda e la difesa della libertà di separazione dei paesi oppressi. Altrimenti non esiste internazionalismo. [...] È questa una rivendicazione incondizionata, sebbene sino all'avvento del socialismo la separazione sia possibile e "realizzabile" in un caso su mille. [...]
Chi non ha approfondito la questione trova “contraddittorio” che i socialdemocratici dei paesi oppressori insistano sulla "libertà di separazione" e i socialdemocratici delle nazioni oppresse sulla "libertà di unione". Ma se si riflette un minimo si vede che non c'è, né può esservi altra via per giungere all'internazionalismo e alla fusione delle nazioni, partendo dalla situazione attuale
». (Risultati della discussione sull'autodecisione)

Chi negasse questa impostazione da un versante internazionalista finirà per essere, secondo Lenin:

«un dottrinario ridicolo, in pratica un complice dell'imperialismo». (Risultati della discussione sull'autodecisione)

È importante peraltro notare che Lenin rivendicava il diritto all'autodeterminazione nazionale non solo per i paesi coloniali o semicoloniali (all'epoca la Cina), ma anche per nazioni relativamente sviluppate dal punto di vista capitalistico, come l'Irlanda o la Polonia, che tuttavia si trovavano all'interno di grandi nazioni imperialiste e ne subivano l'oppressione politica (l'equivalente oggi di una Catalogna o di un Québec). Non a caso la polemica di Lenin contro le posizioni di Rosa Luxemburg riguardava il diritto di autodecisione nazionale della Polonia.


LOTTA COMUNISTA E LA QUESTIONE PALESTINESE.
UN CLAMOROSO NEGAZIONISMO


L'assurdità della posizione di Lotta Comuista da un punto di vista leninista risalta allora in tutta la sua evidenza di fronte alla questione palestinese.
Qui infatti non siamo in presenza di un'oppressione nazionale ordinaria (e che dovrebbe essere riconosciuta da tutti i leninisti) come quella che le potenze imperialiste esercitano nei confronti della generalità dei paesi dipendenti. Qui siamo in presenza di una classica oppressione coloniale. Una oppressione coloniale di tipo “stanziale”. Che cioè si è realizzata storicamente attraverso l'espulsione della popolazione residente da parte dei coloni occupanti.
È questa la storia della lunga colonizzazione sionista della Palestina. Una colonizzazione che iniziò nei primi anni del secolo scorso in aperta complicità con l'imperialismo britannico: quando quest'ultimo, nei suoi propri interessi, aprì al movimento sionista (Dichiarazione di Balfour del 1917), in funzione della spartizione delle spoglie dell'Impero ottomano. Da allora la colonizzazione sionista intraprese la cacciata della popolazione araba dalla Palestina, scontrandosi con la sua resistenza – in particolare con la grande rivolta araba del 1936-1939 – e utilizzando il sostegno militare britannico per piegare tale resistenza. Furono le forze britanniche a reprimere la resistenza araba negli anni '30, e poi a segnalare ai sionisti la piantina dei villaggi arabi che si erano maggiormente ribellati all'occupazione. Non a caso saranno i primi villaggi annientati nella Nakba del 1948, con la cacciata dalla propria terra di oltre settecentomila palestinesi, allorché nacque lo Stato d'Israele, col beneplacito determinante di Stalin in sede ONU, e i rifornimenti militari inizialmente decisivi che Stalin garantì alle forze sioniste.

La nascita dello Stato sionista nel 1948 fu dunque non l'inizio ma il coronamento della colonizzazione sionista.
Il cambio della guardia alla testa dell'imperialismo mondiale tra imperialismo britannico e imperialismo USA portò Israele ad appoggiarsi alla spalla americana.

La natura – giuridica, confessionale, militare – dello Stato d'Israele è quella di uno stato coloniale. Fondato sull'impedimento al ritorno della popolazione araba cacciata, e sul diritto di ogni ebreo al mondo a trasferirsi nella Palestina occupata, come legittimo occupante della stessa. L'intera storia dello Stato d'Israele per i successivi settantacinque anni è stata non a caso una storia di espansione coloniale, attuata con i metodi della guerra e del terrore. Gli stessi metodi che oggi sotto gli occhi del mondo consumano a Gaza crimini genocidi.

Si può allora rimuovere l'esistenza stessa di un'oppressione coloniale come quella sionista in Palestina dietro l'argomento secondo cui ci sono proletari e borghesi sia tra i palestinesi che tra gli israeliani? È ovvio, ci sono proletari e borghesi in tutta la Palestina occupata, dentro e fuori lo Stato d'Israele. Ed è ovvio che i proletari sono ovunque, al di là di ogni confine nazionale, il riferimento strategico centrale dei comunisti internazionalisti. Ma per quale misteriosa ragione questa elementare ovvietà dovrebbe cancellare l'occupazione della Palestina da parte di uno stato coloniale? La negazione dei diritti nazionali del popolo palestinese, il sequestro delle sue terre, la distruzione della sue case, il controllo delle sue riserve idriche e del suo mare, la privazione delle più elementari libertà di movimento, i tribunali militari per i palestinesi come giurisdizione separata, la dittatura terroristica delle forze militari e dei coloni nella Cisgiordania occupata in spregio ad ogni ordinario diritto borghese, la pratica concentrata della segregazione, carcerazione e tortura contro i giovani palestinesi, e tanto altro ancora, non ci parlano solo della divisione tra proletari e borghesi. Ci parlano anche e in primo luogo di un'oppressione nazionale di tipo coloniale.

Il compito dei comunisti internazionalisti non è di negarla. Ma di connettere le ragioni della liberazione nazionale del popolo palestinese alla prospettiva della rivoluzione socialista, in Palestina e in tutta la nazione araba. In piena autonomia politica dalle direzioni borghesi o piccolo-borghesi, laiche o integraliste, del movimento di resistenza palestinese, e in opposizione alle borghesie nazionali arabe, ai loro governi, alle loro complicità col sionismo e l'imperialismo. È la battaglia per l'egemonia proletaria nel movimento di liberazione della Palestina. La lotta per unire il proletariato palestinese, il proletariato arabo e la parte migliore del proletariato israeliano si pone in questo quadro strategico. Non nel quadro dell'accettazione del colonialismo, ma nella prospettiva della distruzione rivoluzionaria dello Stato coloniale d'Israele: per una Palestina unita, laica, socialista che riconosca i diritti nazionali alla minoranza ebraica, contro ogni forma di antisemitismo, ma non il diritto dell'occupazione sionista della Palestina. Una prospettiva realizzabile solo in connessione con la rivoluzione socialista in tutta la nazione araba e nel Medio Oriente.


ALLE ORIGINI DELLA QUESTIONE PALESTINESE. LE POSIZIONI DI LENIN E DI TROTSKY

Era questa in embrione l'impostazione strategica della questione palestinese sin dal suo sorgere da parte dell'Internazionale comunista di Lenin e di Trotsky. La risoluzione del secondo congresso dell'Internazionale comunista (1920) indicava la natura reazionaria e coloniale del movimento sionista, senza alcuna concessione alla sua “ala sinistra”, denunciava la complicità tra imperialismo britannico e sionismo, rivendicava la sovranità araba in Palestina contro l'occupazione ebraica di quella terra:

«Un esempio stupefacente di inganno delle masse lavoratrici di una nazione oppressa, attuata con gli sforzi congiunti dell'imperialismo e della borghesia della nazione in questione, è quello delle imprese dei sionisti in Palestina e del sionismo in generale che, con il pretesto di fondare uno Stato ebraico in questo paese dove gli ebrei sono un numero insignificante, ha consegnato la popolazione autoctona dei lavoratori arabi allo sfruttamento inglese.» (luglio 1920)

Era la denuncia della Dichiarazione di Balfour e dei mercanteggiamenti che l'avevano accompagnata, in contrapposizione a una Seconda Internazionale che invece col pretesto ideologico di un internazionalismo di facciata riconosceva contemporaneamente sia il Bund ebraico (giustamente antisionista) che la socialdemocrazia sionista (a copertura del colonialismo).

Lo stalinismo cancellò alla radice questa impostazione, assieme all'intero programma del movimento comunista, sino a riconoscere, come abbiamo visto, lo Stato coloniale sionista.
Solo il movimento trotskista, la Quarta Internazionale delle origini, recuperò e attualizzò controcorrente la battaglia antisionista dell'Internazionale di Lenin, sia negli anni '30 sia a ridosso del 1948, come abbiamo ampiamente documentato sulla nostra rivista teorica Marxismo Rivoluzionario.

Per Lotta Comunista invece la questione palestinese non esiste come questione nazionale. Come non esiste l'intero bagaglio storico del marxismo rivoluzionario sulla questione. È una posizione negazionista. Un negazionismo che oggi la porta a scontrarsi frontalmente col movimento di solidarietà filopalestinese che sta attraversando il mondo, e in particolare le università, anche in parte le università italiane.


«FARE CHIAREZZA»? IL VOLANTINO DI LC

Il contenuto di merito del volantino diffuso da Lotta Comunista alla Statale e alla Sapienza dal titolo “Facciamo chiarezza”, riprodotto e rivendicato integralmente sul numero di Lotta Comunista dell'aprile 2024, è da questo punto di vista emblematico. La chiarezza indubbiamente la fa. Ma solo nel senso di chiarire la gravità delle posizioni antileniniste di LC.

Il cuore del volantino sta nella polemica frontale contro la richiesta di rottura delle collaborazioni istituzionali con le università dello Stato sionista nel campo tecnologico militare. Eppure dovrebbe essere questa una rivendicazione elementare, per quanto parziale, dei comunisti, nella contrapposizione all'imperialismo di casa nostra. Incluso l'imperialismo tricolore.

Il fior fiore dell'industria bellica italiana (gruppo Leonardo) produce i cannoni navali OTO Melara usati al largo delle coste di Gaza, i caccia di addestramento dell'aviazione israeliana, gli elicotteri militari usati da Israele contro la resistenza palestinese in Cisgiordania. Queste ed altre lucrose attività passano per l'attiva collaborazione di Leonardo con la Elbit Systems, azienda leader della produzione di armi in Israele. I bandi ministeriali Italia-Israele tutelano e finanziano tali collaborazioni. La fondazione Med-Or, presieduta da Minniti, facilita gli scambi tra università e industria delle armi, in Italia e in Israele, assicurando a Leonardo preziose entrature nella ricerca universitaria tecnologico-militare, attraverso rettori e docenti che siedono nel comitato scientifico di Med-Or.

La denuncia della collaborazione, anche universitaria, tra l'imperialismo italiano e lo Stato coloniale d'Israele è dunque doverosa, persino elementare. Semmai andrebbe ricondotta a una visione e prospettiva anticapitalista e antimperialista più generale, su scala nazionale e internazionale, al di là della dimensione movimentista immediata. Ciò che è esattamente il compito dei comunisti.

E invece no. Lotta Comunista sente il bisogno di denunciare «l'ipocrisia» del movimento studentesco nel chiedere la rottura delle collaborazioni militari con Israele. Perché? Perché:

«nessuno ha fatto notare che le università italiane intrattengono rapporti di ricerca con una pluralità di regimi, dalla Corea del Nord fino all'Afghanistan dei talebani

Ora, al netto del fatto che le università nordcoreane o talebane non ci risultano destinatarie di alcuna collaborazione dell'imperialismo italiano (semmai oggi dell'imperialismo russo o cinese), è falso dire che «nessuno ha fatto notare...». È vero l'opposto. Proprio l'argomento principe degli ambienti filosionisti, economici, politici, editoriali, accademici, ricalca esattamente quello usato da Lotta Comunista: “perché ce l'avete con le università di Israele e non con...”? Risposta: semplicemente per il fatto che qui e ora è lo Stato coloniale d'Israele che sta realizzando un'azione genocida; è qui e ora che gli imperialismi d'Occidente, incluso quello italiano, gli forniscono supporto economico e militare, come nell'intera storia della colonialismo sionista; è qui e ora che il popolo palestinese resiste sotto le bombe e le armi (anche italiane) dello stato sionista; è qui e ora che per queste stesse ragioni, evidenti all'attenzione del mondo, si è levato un vasto sentimento e movimento di solidarietà internazionale con un popolo oppresso e bombardato. Non è una ragione sufficiente?

Tutto ciò, come è ovvio, non cancella altre oppressioni o la natura reazionaria di altri regimi in giro per il mondo. Ma evocare la presenza di altre oppressioni – ammesso che Lotta Comunista le riconosca – per voltare le spalle alla resistenza in atto contro l'oppressione sionista, significa nei fatti fare il verso alla propaganda reazionaria. Non è una denuncia, ma la constatazione di un fatto.


SCIENZA, CAPITALE E MASSACRO SIONISTA

Lotta Comunista fa di più. Il suo volantino rimprovera agli studenti in lotta:

«la vuota ramanzina sul divieto di ricerca militare in ambito accademico – quando tutti sanno benissimo che ogni scoperta scientifica viene utilizzata sia per lo sviluppo della produttività umana sia per l'industria del massacro. Solo in una società libera dal profitto la scienza non sarà più asservita agli interessi della classe dominante. Ma questo risultato storico sarà raggiunto attraverso una coerente lotta rivoluzionaria e non con lacrimevoli prediche e ipocrisie».

Francamente è difficile immaginare una posizione più assurda, proprio dal punto di vista rivoluzionario. Ricordare che la scienza è asservita al capitale è sempre utile, naturalmente. Ma sollevare questo argomento generale per rimuovere qui e ora il concreto utilizzo delle ricerche scientifico-tecnologico-militari da parte dello stato sionista nel massacro dei palestinesi è incommentabile. Come dire che se il padrone dell'azienda X bastona i suoi operai, nega loro i diritti sindacali, promuove l'assalto ai loro picchetti con l'utilizzo dei propri crumiri, tutto questo è irrilevante perché queste cose accadono nel capitalismo, e solo la rivoluzione le può evitare. Invece di connettere la denuncia di una concreta oppressione alla prospettiva di una liberazione generale, si evoca la liberazione generale per ignorare l'oppressione concreta e brutale di un popolo. Di più. Si evoca la rivoluzione per negare a quel popolo la propria solidarietà denunciando chi promuove questa solidarietà. Obiettivamente una posizione controrivoluzionaria.

Persino la posizione di Italo Calvino viene distorta da Lotta Comunista per l'occasione.
Il volantino di Lotta Comunista dichiara:

«Il grande scrittore [...] si rammaricava per la mancanza di considerazione nei sostenitori della causa palestinese delle «persecuzioni tra le più atroci e inumane sotto il nazismo e anche molto prima, per secoli e secoli» patite dagli ebrei, e nello stesso tempo con sicurezza vedeva «la soluzione del problema palestinese nella via rivoluzionaria tanto nel mondo arabo quanto nelle masse israeliane [...]».

Naturalmente è verissimo che la soluzione del problema palestinese implica la via rivoluzionaria su ogni fronte. Ma il punto di partenza è esattamente il riconoscimento... del problema palestinese. Ciò che Calvino riconosce, Lotta Comunista invece lo rimuove, al punto di rimuovere dal proprio volantino, guarda caso, la citazione integrale di Calvino:

«Naturalmente, in noi europei il dramma dei palestinesi perseguitati ha una speciale risonanza perché i loro attuali persecutori hanno sofferto – in loro o nelle loro famiglie – persecuzioni tra le più atroci e inumane sotto il nazismo e anche molto prima, per secoli e secoli. Che i perseguitati d’un tempo si siano trasformati in oppressori è per noi il fatto più drammatico, quello su cui ci sembra più necessario far leva».

Com'è del tutto evidente, Italo Calvino, che pure non era un marxista rivoluzionario, riconosceva la presenza dell'oppressione sionista contro i palestinesi come il fatto centrale da denunciare, col drammatico rovesciamento di ruolo tra perseguitati e persecutori. Lotta Comunista cancella dal volantino questa parte della citazione di Calvino per adattarlo alla bisogna della propria posizione negazionista dell'oppressione palestinese.
Non è un esempio edificante, a proposito del “fare chiarezza”.


L'INTERNAZIONALISMO CONTRO LA LIBERAZIONE NAZIONALE?

«Contro la guerra di Gaza, contro la guerra d'Ucraina, contro la pazzia terrorista e il fanatismo è necessaria l'unità rivoluzionaria dei lavoratori. La nostra è l'unica classe che non ha interessi nazionali e particolari da difendere. Bisogna combattere gli spacciatori d'odio. Bisogna spezzare le catene del dominio borghese».

Questa conclusione del volantino “Fare chiarezza” chiarisce una volta di più la posizione antileninista di Lotta Comunista. Spezzare le catene del dominio borghese è naturalmente l'essenza programmatica del marxismo. Ma per spezzare queste catene bisogna forse negare l'esistenza di un popolo oppresso e del suo diritto a resistere all'oppressione? Naturalmente contrastiamo da un versante rivoluzionario ogni terrorismo contro i civili israeliani. Ma si può caratterizzare indistintamente come «pazzia terrorista» il diritto di resistenza, anche armata, contro una oppressione coloniale e le sue forze d'occupazione? Si può mettere sullo stesso piano il terrorismo quotidiano di uno stato coloniale contro il popolo di Palestina e la legittima azione di resistenza di questo popolo (7 ottobre incluso)? È vero che la nostra classe non ha interessi nazionali. Ma questo significa forse che deve ignorare le oppressioni nazionali di cui essa stessa è vittima, e disimpegnarsi dalla resistenza nazionale all'oppressione, invece di lottare per prenderne la testa e indirizzarla verso la propria prospettiva internazionale?

Torniamo alla questione di fondo. Lotta Comunista butta a mare l'ABC del leninismo sulla questione nazionale. La negazione della questione palestinese fa solo da cartina di tornasole di questa rimozione generale. Che a sua volta è la spia di un antileninismo più generale.

Invitiamo i compagni di Lotta Comunista, in particolare i più giovani, a una riflessione onesta su tutto questo. A partire dalla conoscenza e approfondimento delle reali posizioni di Lenin. Non quelle che gli vengono attribuite ma quelle per cui si è battuto. Contro ogni caricatura del marxismo.

Per quanto ci riguarda, restiamo disponibili al confronto su questi temi ad ogni livello, come già abbiamo fatto negli incontri internazionali promossi da Lotta Comunista a Milano.

Stefano R.
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