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Perché la CGIL promuova un'azione a difesa del popolo palestinese

Per uno sciopero generale contro la guerra di annientamento condotta da Israele

2 Aprile 2024
cgil_gaza


L'aggressione israeliana contro il popolo palestinese continua incessante. A Gaza, sotto gli occhi del mondo, si dispiega uno stillicidio quotidiano di morte, orrori, barbarie. Oltre 31000 palestinesi assassinati dai bombardamenti, decine di migliaia ancora sepolti dalle macerie, o condannati a morte dall'assenza di cure e di cibo, o permanentemente mutilati. In primo luogo donne e bambini.
Da più di cinque mesi case, scuole, ospedali, moschee, ogni sede di vita associata, sono bersaglio di una politica di annientamento. Persino le file per il pane sono state oggetto di massacri inauditi, mentre il governo Netanyahu annuncia la prossima offensiva su Rafah, dove si concentra il grosso della popolazione palestinese sfollata.

Tutto ciò sta accadendo grazie anche alla complicità diretta o indiretta della cosiddetta comunità internazionale.
Gli stessi governi “democratici”, a partire dagli USA, che dichiarano spudoratamente la propria preoccupazione per l'eccesso di vittime civili palestinesi continuano a fornire armi e soldi allo stato d'Israele. Persino la richiesta platonica del cessate il fuoco convive col sostegno militare alle forze d'occupazione, dunque al fuoco criminale che l'accompagna. Si manda qualche pacco di viveri dal cielo, a uso delle telecamere, per coprire la complicità con l'azione di morte via terra. Una ipocrisia rivoltante.
Quanto alle risoluzioni o raccomandazioni della cosiddetta comunità internazionale, dall'ONU alla Corte dell'Aia, si tratta nel migliore dei casi di parole vuote, o sibilline, o impotenti. Sono nei fatti una copertura alla diplomazia mondiale degli imperialismi e alla sua connivenza con Israele. Una connivenza determinante nel consentire a Israele la continuità dei massacri.

Il governo Meloni è pienamente coinvolto in questa politica complice. L'astensione in sede ONU a novembre contro la sola richiesta di tregua umanitaria ha rivelato sin dall'inizio il sostegno italiano a Israele. Un sostegno che dura da sempre in campo economico, nella ricerca scientifica, nel rifornimento militare. Oggi ENI sfrutta il gas del mare di Gaza, con l'accordo delle forze occupanti, mentre Leonardo fornisce a Israele elicotteri militari impiegati nella repressione in Cisgiordania.
L'arresto di attivisti palestinesi residenti in Italia su richiesta delle autorità israeliane è l'applicazione di questa politica, come lo è la criminalizzazione dell'antisionismo, vergognosamente equiparato all'antisemitismo. Come lo sono, su un piano diverso, le cariche poliziesche contro i cortei dei giovani studenti pro Palestina a Pisa e Firenze. La recita dell'attenzione “umanitaria” da parte del governo verso le vittime palestinesi è solo il tentativo ipocrita di coprire tale politica agli occhi dell'opinione pubblica.

Oggi peraltro la partecipazione italiana alla missione navale nel Mar Rosso (Aspides) contro un soggetto arabo, gli houthi, che sostiene la resistenza palestinese, conferma nel modo più clamoroso l'alleanza dell'Italia con Israele. Il carattere cosiddetto difensivo della missione consiste nella difesa di Israele: delle sue navi, o delle navi dirette verso i porti della Palestina occupata, o delle navi di USA e Gran Bretagna che bombardano gli houthi per conto dello stato sionista.
Si tratta della partecipazione italiana a una missione di guerra in uno scenario di guerra, contro un popolo oppresso, al fianco dello Stato oppressore, sulla base di una divisione di ruoli coi bombardieri americani e britannici (Prosperity Guardian). Il fatto che la missione navale abbia ottenuto il voto parlamentare di quasi tutti i partiti, di governo e di “opposizione”, da Fratelli d'Italia al M5S passando per il PD, misura il campo largo dell'attuale sostegno al sionismo.

E tuttavia il sentimento dell'opinione pubblica ha un segno profondamente diverso. In tutto il mondo la mobilitazione al fianco del popolo palestinese e della sua resistenza ha assunto grandi proporzioni. Decine di milioni di lavoratori e lavoratrici, giovani, donne manifestano in forme diverse la propria solidarietà col popolo oppresso, contro gli orrori quotidiani cui è sottoposto e contro l'ipocrisia e le complicità internazionali. Nella stessa Italia in diverse grandi città la mobilitazione a sostegno della resistenza palestinese ha assunto una cadenza settimanale, con forte partecipazione.

Ciò che ad oggi manca è l'ingresso delle organizzazioni di massa del movimento operaio italiano sul terreno diretto della lotta. I sindacati palestinesi si sono rivolti al sindacati di tutto il mondo perché intraprendano il boicottaggio attivo dello Stato israeliano, a partire dal blocco dei rifornimenti militari e delle relative attività portuali. In diversi paesi, in America, in Europa, in Asia, l'appello è stato raccolto e tradotto in varie forme dai settori più avanzati del sindacalismo di classe. Così anche in Italia.

Manca sinora all'appello la CGIL. È un fatto profondamente negativo. Non basta una manifestazione simbolica una tantum, come il 9 marzo a Roma, dopo ben cinque mesi di guerra, per di più su una piattaforma equilibrista tra popolo oppresso e Stato oppressore.

È necessario che la principale organizzazione di massa del movimento operaio italiano si schieri senza riserve a sostegno del popolo palestinese e della sua resistenza all'occupazione, al di là delle sue direzioni. È necessario farlo anche ricorrendo allo strumento principe di cui il sindacato dispone, che è lo strumento dello sciopero. Uno sciopero politico contro la guerra di annientamento dei palestinesi di Gaza condotta dal governo Netanyahu.
In altre stagioni della sua storia, al di là del merito delle posizioni, la CGIL ha manifestato in varie forme la propria opposizione al colonialismo e alla guerra anche ricorrendo allo sciopero. È l'ora di farlo anche per la Palestina, contro le connivenze del governo italiano con lo Stato d'Israele e la sua guerra.

La piattaforma minima dello sciopero deve essere chiara:

Per l'immediata cessazione del fuoco contro i palestinesi
Per il ritiro immediato e incondizionato di tutte le forze israeliane da Gaza
Per la fine dei rifornimenti militari e di ogni sostegno economico ad Israele
Per il rifiuto dell'estradizione in Israele dei militanti della resistenza palestinese arrestati in Italia, e la loro immediata liberazione
Per l'opposizione alla missione militare filosionista nel Mar Rosso, e l'immediato ritiro della partecipazione italiana ad essa


Sono rivendicazioni elementari, che dal nostro punto di vista si collocano in una prospettiva programmatica certo molto più ampia di soluzione storica della questione palestinese. Ma nella loro immediatezza si configurano come le rivendicazioni più urgenti, che oltretutto rispondono largamente al sentimento naturale di milioni di lavoratori e lavoratrici

Su queste rivendicazioni elementari e immediate chiediamo alla CGIL di intraprendere un'azione di sciopero generale al fianco del popolo palestinese contro l'aggressione criminale in atto. E chiediamo a tutte le organizzazioni della sinistra politica, sindacale, associativa, di movimento di sostenere questa richiesta, e di mobilitarsi unitariamente a sostegno dello sciopero qualora venisse convocato. È l'ora del fronte unico di classe e di massa al fianco della Palestina. Senza se e senza ma.

Partito Comunista dei Lavoratori

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