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La condizione delle lavoratrici indiane impiegate nella raccolta dello zucchero
Costrette all'isterectomia per un posto di lavoro mezzo milione di donne l'anno
21 Giugno 2022
La nuova frontiera dello sfruttamento arriva dall'India. Niente che abbia a che fare con il misticismo che spesso si lega alla tradizione indiana, ma questa volta a farne le spese sono oltre mezzo milione di lavoratrici all'anno.
Il Maharashtra (regione dell’India centrale) con i suoi 112 milioni di abitanti è il principale polo indiano nella produzione dello zucchero, zucchero che, assieme a quello del Brasile, viene esportato in tutto il mondo. Alcune campagne web del governo indiano tuttavia cercano di farne aumentare il consumo interno. Se non succederà, c'è il rischio che crolli la filiera con conseguenze devastanti per le lavoratrici ed i lavoratori del settore.
Nei campi di zucchero vengono impiegate intere famiglie. Il loro trasferimento nei pressi di questi campi è curato dai "Mukadam", reclutatori al servizio di latifondisti senza scrupoli. Le preferenze vanno alle giovani donne, o per meglio dire alle bambine di età superiore ai 10 anni. Esse sono certo migliori delle donne più vecchie, sono più prestanti e produttive. L'unico problema è l'incombenza delle mestruazioni e data la loro età la possibilità di rimanere incinta.
Secondo un reportage della France Televisions, i Mukadam consigliano di rivolgersi ai competentissimi chirurghi locali per sottoporsi ad una isterectomia totale con ablazione delle ovaie, che per dirlo in termini spiccioli significa "via il dente, via il dolore". Poco più che bambine vengono private dell'utero e di tutto l'annesso ovarico per scongiurare i dolori mestruali e le gravidanze che secondo un reclutatore "compromettono seriamente la produttività".
Nonostante venga considerata una pratica volontaria, per milioni di di donne indiane questa è l'unica strada verso un lavoro massacrante con spesso un solo giorno di riposo mensile. La vita nei campi di zucchero è dura, spesso intere famiglie impiegate per anni vengono fatte vivere in tende senza acqua né elettricità. In queste condizioni lamentarsi significa licenziamento in tronco.
I proprietari terrieri sostengono che il tumore dell'utero e delle ovaie è una diffusissima causa di morte tra le donne, quindi questi interventi sono "fortemente consigliati per il loro bene". Sta di fatto che intervento e convalescenza sono a carico della donna stessa e della sua famiglia (se ce l'ha), il proprietario del campo si limita ad assumere le donne di cui ha bisogno. Le altre vengono scartate.
La società indiana ha tradizioni antiche e ben radicate, ancorate saldamente al più becero patriarcato: le donne scartare dal lavoro nei campi vengono emarginate dalla società in quanto giocattoli rotti, inutili al marito a cui serve una prole e perciò prive di qualsivoglia possibilità di riscatto. Una vita stroncata a 10 anni, per raccogliere canne da zucchero.
Una donna dice ad un giornalista: "Il Mukadam ci urla addosso se non lavoriamo abbastanza. Ci picchia molto forte, anche quando stiamo male. Grida ai nostri mariti che non lavoriamo sodo e che tocca rimborsare lo stipendio".
Alcune donne sostengono che l'intervento al quale si sono sottoposte rende molto semplice la violenza sessuale. Il caporale può approfittarne senza temere conseguenze, né dal lato legale, né da quello biologico.
L'intervento viene dato per innocuo. Oltre il 36% delle donne impiegate vi ricorre prima dei 20 anni. Durante le primissime mestruazioni (soprattutto) e a causa delle condizioni di vita, è frequente trovare donne con dismenorrea, altre con cicli mestruali irregolari e quindi notevolmente più dolorosi. Il trattamento lo prescrivono i Mukadam: una sonora carica di botte e poi via con l'intervento, pena il licenziamento.
La menopausa precoce causata dall'isterectomia, a volte effettuata già prima della comparsa delle mestruazioni, ha conseguenze devastanti sia sul piano fisico, sia sul piano psicologico. L'invecchiamento è più rapido e si abbassa l'aspettativa di vita. Le donne sottoposte all’intervento a 30 anni ne dimostrano 50. Certo, queste donne scongiurano il tumore dell'utero ed eventuali pericolosi corpi lutei, ma si assiste ad un invecchiamento anomalo dei loro corpi, caratterizzato da scompensi ormonali e da un conseguente sviluppo anomalo del corpo, che favorisce l’insorgere di altre patologie talvolta anche molto gravi.
Sotto il profilo psicologico forse è la più efferata violenza che si possa infliggere. L'utero caratterizza la donna, in questa società tende ad incidere profondamente nella definizione dell’identità femminile (allo stesso modo del pene per l’uomo). La rimozione dell’utero per un motivo così futile significa privare la donna di una parte importante di sé e negare il suo diritto di autodeterminazione (sessuale e non solo). Quello che rimane è una creatura sradicata e abusata, abbattuta da violenze e soprusi di ogni sorta. In altre parole, la creazione mostruosa, forse l'”essere ideale”, voluta dallo sfruttamento e dall'oppressione della società capitalistica.
L'estremo ed inutile sacrificio della donna lavoratrice nel nome degli interessi criminali del padrone.