Dalla tragedia alla farsa. Lo stalinismo ieri e oggi
Quando Stalin andava a braccetto con il Terzo Reich
Sul Patto Molotov-Ribbentrop
12 Giugno 2015
Nell’agosto del 1939, al Cremlino si svolgeva una conviviale e sconcertante cerimonia suggellata da un brindisi beneaugurante. “So quanto la nazione tedesca ami il suo Führer. È un bravo ragazzo. Per questo desidero bere alla sua salute” (1). Con queste parole Stalin saluta il “patto di non aggressione” tra l’Urss e la Germania nazista, firmato da Molotov e dal suo omologo tedesco, il barone von Ribbentrop. Resa pubblica immediatamente la notizia dell’accordo tedesco-sovietico sconcerta i comunisti e le opinioni pubbliche occidentali. La sorpresa è generale, lo sbalordimento anche. Per anni, i partiti della Terza Internazionale hanno lottato contro l’ascesa del fascismo in Europa, definendolo come “il battaglione d’assalto della reazione mondiale”. Le loro direzioni hanno indicato lo stato nazista come l’incarnazione del “volto bestiale del nemico di classe”. Ora, invece, il nemico mortale è diventato un amico con il quale stabilire una “amichevole intesa”. Il disorientamento s’insinua prepotentemente tra le fila del movimento operaio. Lo stupore attraversa gli ambienti dell’antifascismo che pochi anni prima erano accorsi in Spagna per difendere la repubblica e combattere il nazifascismo.
Se molti sono stupiti per quest’accordo con Hitler, non lo sono invece i comunisti rivoluzionari che si raccolgono attorno alla bandiera della Quarta Internazionale. Infatti, già nel marzo precedente, Leone Trotsky aveva anticipato un giudizio lucido e sferzante sui propositi di Stalin: “Quale lezione! Nel corso degli ultimi tre anni, Stalin ha definito tutti i compagni di Lenin agenti di Hitler. Ha sterminato il fior fiore dello stato maggiore, ha fucilato, destituito o deportato 30.000 ufficiali, tutti con lo stesso capo d’accusa, quello di essere agenti di Hitler o dei suoi alleati. Dopo aver smantellato il partito e decapitato l’esercito, Stalin pone ora apertamente la propria candidatura alla funzione di… principale agente di Hitler”. Il patto, che include un protocollo segreto sulla spartizione della Polonia, inaugura cosi’ un periodo di stretta collaborazione tra la burocrazia staliniana e il Terzo Reich, che regge sino a quando, nel giugno del 1941, le colonne corazzate tedesche irrompono in territorio sovietico, cogliendo di sorpresa Stalin e il suo entourage.
LA SPARTIZIONE DELLA POLONIA
Il patto Molotov-Ribbentrop stabilisce alcuni punti: l’astensione da ogni violenza reciproca; la benevola neutralità nel caso di impegno bellico; le consultazioni sugli interessi comuni; l’impegno a non partecipare ai raggruppamenti di potenze ostili ad uno dei contraenti. Questo è il dispositivo ufficiale assunto dai due sottoscrittori del patto, che la Pravda definisce come “uno strumento di pace”. Ma la vera sostanza dell’intesa è racchiusa in un protocollo segreto che accompagna e sostanzia il trattato firmato a Mosca. Il testo del protocollo segreto –la cui esistenza sarà negata dalle autorità sovietiche fino al 1989- stabilisce lo smembramento della Polonia e la definizione delle rispettive sfere di influenza nell’Europa orientale. Immediata è l’applicazione di questo patto spartitorio: il primo settembre la Wehrmacht aggredisce la Polonia dando inizio alla seconda guerra mondiale, seguita dall’URSS, che due settimane dopo completa l’opera invadendo la Polonia orientale. Dopo l’intervento militare, i due partner ritoccano il trattato modificandolo in alcune parti: negoziano il futuro di alcune parti della Romania, e la Lituania, inizialmente divisa tra i due predoni, viene totalmente assegnata all’area di influenza sovietica. Il 28 settembre viene così stipulato un “nuovo” patto di amicizia tedesco-sovietico che mira a stabilizzare nel territorio polacco l’ordine imposto dalle armi dei due invasori. Anche in quest’atto sono i supplementi segreti e confidenziali a definire il quadro e la cornice dell’intesa raggiunta tra il Cremlino e il Terzo Reich. Il patto amichevole stabilisce i nuovi confini, e precisa che il nuovo assetto statale nelle rispettive sfere d’interesse viene costruito separatamente.
Inoltre vieta le agitazioni polacche miranti a produrre effetti nell’altra sfera d’interesse; e precisa i sistemi comuni di lotta contro “le cospirazioni indipendentiste” della popolazione polacca. Non a caso nell’agosto dell’anno prima, il Partito Comunista Polacco (KPP) è stato sciolto d’imperio dagli stalinisti con una risoluzione firmata dal segretariato del Comintern –al cui interno Togliatti ricopre un ruolo di primissimo piano.
Come scrive lo storico Aldo Agosti nel suo profilo dei comunismi europei ”in realtà vi sono molti elementi per ritenere che Stalin, che aveva ormai preso in seria considerazione l’idea di un accordo con la Germania nazista, volesse liberarsi di un partito che, con una forte presenza di ebrei nei suoi ranghi e una forte tradizione nazionale, difficilmente avrebbe accettato un passo simile senza qualche protesta”. In questo quadro che si viene definendo con l’accordo stabilito con Hitler, nel novembre 1939, l’URSS provvede anche ad aggredire la Finlandia.
L’AMICHEVOLE INTESA
Nel periodo 1939-1941 lo stato sovietico e la Germania nazista stabiliscono così, una stretta collaborazione sul piano politico, economico e militare. L’Urss rispetta scrupolosamente tutti i termini dei tre accordi commerciali e di credito che vengono sottoscritti con la potenza tedesca. In questo lasso di tempo, l’interscambio economico tra i due paesi è sostenuto.
Mentre l’Europa è messa a ferro e fuoco dalle armate naziste, l’URSS invia in Germania enormi quantitativi di petrolio, di materie prime e di derrate alimentari. Per il Terzo Reich tali rifornimenti sono fondamentali per aggirare il blocco economico che la Gran Bretagna tenta di imporgli dopo lo scoppio del conflitto mondiale, e si rivelano provvidenziali per sostenere la sua campagna di aggressione militare sul fronte occidentale. In una certa misura, l’aiuto che proviene dal Cremlino, serve anche, paradossalmente, a preparare lo sforzo militare che il nazismo scatenerà contro l’Unione sovietica.
C’è da dire che, a seguito del patto con Hitler, gli stalinisti scrivono una delle pagine più infami della loro poco onorevole storia quando all’inizio del 1940 consegnano nelle mani della Gestapo oltre cinquecento comunisti tedeschi e austriaci arrestati a Mosca durante le grandi purghe degli anni precedenti. I militanti e i dirigenti del KPD e del KPÖ che erano riparati in URSS per sfuggire alle persecuzioni naziste, grazie a Stalin, finiscono così direttamente nei campi di concentramento nazisti.
L’INTERNAZIONALE NELLA BUFERA
Come detto, il patto con la Germania firmato da Molotov provoca un rilevante disorientamento tra i ranghi del movimento operaio e comunista. Hitler e le sue bande hanno imprigionato e assassinato gli operai comunisti e socialisti. Hanno rivolto la loro mostruosa brutalità contro gli ebrei, facendo così ripiombare il continente nelle pratiche medioevali dell’antisemitismo e dell’autodafé. I lavoratori europei che si battono contro il fascismo sono basiti: essi sanno che il fascismo all’interno dei propri paesi significa il terrore contro i lavoratori, la distruzione della loro forza organizzata; e all’esterno, la guerra d’aggressione contro altri popoli. I partiti comunisti di derivazione staliniana sono allo sbaraglio, anche se, al proprio interno, gli strappi che si producono sono comunque limitati.
Al Comintern, per giustificare questo patto scellerato non resta che insistere su un tema: quello della funzione insostituibile dell’Unione sovietica, come baluardo principale dello stesso movimento operaio internazionale, e quindi della necessità per tutti i lavoratori di operare perché essa sia salva ed estenda i suoi confini contro ogni nemico. Dimitrov lo ribadisce con forza, invocando imperiosamente “il raggruppamento dei lavoratori intorno al grande paese del socialismo, l’unico stato che lotta per la pace tra i popoli e difende gli interessi vitali dei lavoratori di tutto il mondo” (3). I partiti della Terza Internazionale si adeguano, e sulla loro stampa scompare d’incanto qualsiasi accenno ostile alla Germania nazista.
Le lacerazioni che si producono all’interno dei partiti comunisti non intaccano il meccanismo ormai collaudato del loro allineamento alle posizioni dello stato sovietico. Clamoroso è il caso del Partito comunista francese, che prima vota in parlamento i crediti di guerra, in nome della difesa della patria aggredita dai nazisti, e poi, quando la Francia è invasa richiede l’apertura di immediati negoziati di pace con la Germania nazista che ha aggredito la patria. Con il risultato che Maurice Thorez, il segretario del partito compie una singolare capriola: prima parte per il fronte per difendere la Francia aggredita dai nazisti, e poi diserta per non sostenere l’imperialismo francese contro la Germania nazista. E nella Parigi del giugno ’40, quando sulla Tour Eiffel sventola la bandiera con la croce uncinata, il PCF in nome dell’amicizia tedesco-sovietica, arriva addirittura a chiedere alle autorità occupanti il permesso di pubblicare legalmente l’Humanité, il giornale del partito che era stato proibito dal governo Daladier.
L’INTERNAZIONALE DEGENERATA
Nell’estate del 1939, la Terza Internazionale non è più, da tempo, lo strumento politico che i bolscevichi hanno costruito all’indomani della rivoluzione russa. Nata per essere “il partito mondiale della rivoluzione”, il Comintern delle origini ne aveva subordinato a questo fine l’orizzonte strategico e la strumentazione organizzativa del movimento comunista. Le singole sezioni nazionali erano parte di un unico raggruppamento internazionale che si batteva –pur in quadro multiforme e con una grande flessibilità tattica- per affermare un’unica strategia di rivoluzione mondiale. Lenin, Trotsky e gli altri dirigenti rivoluzionari si muovevano all’interno di questo solco. Basti pensare che, all’indomani dell’ottobre sovietico, il nome Russia viene sostituito con quello di URSS per meglio precisare il carattere internazionalista della politica dei bolscevichi, e per meglio sottolineare la proiezione internazionale della rivoluzione socialista che si era compiuta nel paese degli Zar.
Lo stesso congresso di fondazione dell’Internazionale comunista si propone la centralizzazione dell’impegno dei partiti comunisti dei vari paesi, e la costruzione di un metodo comune e di una direzione internazionale del movimento comunista. In questo quadro, il congresso del 1919 proclama senza alcuna perifrasi che l’internazionale subordina gli interessi del movimento di ciascun paese agli interessi della rivoluzione su scala mondiale. Con l’affermazione dello stalinismo, l’impostazione internazionalista delle origini viene rovesciata nel suo contrario. Ora, gli interessi a cui piegare il movimento delle masse diventano la conservazione dell’URSS come entità statale, e la salvaguardia dei privilegi della casta termidoriana che si è impadronita delle leve di comando del potere sovietico. E, alla fine degli anni trenta, la Terza internazionale ha ormai completato la sua parabola degenerativa: da strumento per la rivoluzione mondiale a cinghia di trasmissione della burocrazia sovietica; da organismo di lotta del proletariato mondiale a strumento di copertura ideologica delle svolte dello stalinismo. Lungo il corso degli anni e sotto la brutale sferza repressiva dell’apparato staliniano, i partiti della terza internazionale eseguono pedissequamente i diktat che provengono da Mosca. Si adeguano alle direttive, coprono cioè le brusche svolte che periodicamente Stalin compie.
All’ORIGINE DEL PATTO
L’accordo con la Germania giunge dopo un periodo di tempo in cui il Cremlino cambia di continuo la propria politica estera. La vittoria di Hitler in Germania, agevolata dalla linea di condotta staliniana che fino all’ultimo si rifiuta di costruire un fronte unico delle organizzazioni operaie per contrastare l’ascesa dei nazisti, dischiude per lo stato sovietico uno scenario drammatico. I nazisti, fin dal loro apparire, avevano più volte dichiarato di voler assicurare alla Germania lo “spazio vitale” necessario allo sviluppo delle sue potenzialità economiche e demografiche; e non nascondevano che questa espansione territoriale dovesse realizzarsi a oriente, a scapito della Russia. Già nel Mein Kampf, Hitler aveva espresso la volontà di assoggettare i popoli slavi –considerati sottouomini da ridurre in schiavitù-”, e di condurre una vera e propria guerra di annientamento contro i bolscevichi. A seguito del riarmo tedesco e del suo rinnovato espansionismo, che incrina ulteriormente i fragili equilibri della pace di Versailles, Stalin ricerca delle intese selettive capaci di evitare all’Unione sovietica il trascinamento in un conflitto bellico, a cui il paese è del tutto impreparato. Nel 1934 l’URSS aderisce alla Società delle Nazioni (il progenitore dell’ONU, che Lenin aveva denunciato come “un’associazione di briganti imperialisti per spartirsi il bottino”) e per tutto un quinquennio basa il proprio asse internazionale verso la ricerca di una politica di “sicurezza collettiva” che passa attraverso “un’alleanza con le democrazie”, volta a preservare lo stato sovietico da una crisi generale, che destabilizzando l’ordine internazionale, avrebbe potuto mettere in discussione le basi del dominio burocratico, stimolando altresì, la lotta delle masse per ristabilire la democrazia operaia conculcata in URSS e nell’Internazionale.
Come scrive Trotsky: “Stalin cambia i principi della sua politica proprio al fine di non essere egli stesso rimpiazzato. La cricca bonapartista vuole vivere e governare. Tutto il resto è per essa una questione di tecnica” (4). In questo quadro, il Cremlino corteggia la Gran Bretagna, tenta di accordarsi con la Francia con la quale, a metà degli anni trenta, conclude un trattato di mutua assistenza militare. Inoltre, prova anche un avvicinamento con gli Stati Uniti, da cui l’URSS viene riconosciuta nel 1933. Sono questi, gli anni dei fronti popolari, in cui gli stalinisti –capovolgendo l’orientamento leniniano dei primi quattro congressi dell’IC- attuano una politica rinunciataria e permeata di spirito di compromesso. I fronti popolari rappresentano il tentativo di stabilire un’alleanza con i partiti della borghesia liberale, incanalando così lo slancio rivoluzionario delle masse nell’alveo della democrazia borghese. Terreno privilegiato della collaborazione di classe, i fronti popolari vengono sperimentati in Francia e in Spagna, dove nella seconda metà degli anni trenta, conoscono una cocente sconfitta. Dopo l’accordo di Monaco che ha visto Francia e Gran Bretagna capitolare davanti all’espansionismo tedesco, nel giugno del 1939, fallisce il tentativo sovietico di accordarsi con gli Anglo-Francesi in un patto di reciproca assistenza in caso di aggressione. Stalin, temendo che le potenze occidentali vogliano indirizzare ad est le armate di Hitler, non si fa alcuno scrupolo a stringere un accordo con il nemico mortale del movimento operaio.
L’AGGRESSIONE NAZISTA
Il 22 Giugno del 1941, le truppe naziste varcano la frontiera sovietica. Il Cremlino stenta a credere alle notizie che giungono dal fronte, ed ordina all’Armata rossa di restare nelle caserme. Mosca aveva sperato di evitare o di dilazionare l’attacco nazista grazie all’alleanza di fatto stabilita con Berlino, e fino alla vigilia dell’aggressione aveva continuato a rifornire la Germania di materie prime strategiche. Stalin è frastornato: passeranno dodici lunghissimi giorni prima che la “guida invincibile delle masse popolari” trovi la forza di parlare al paese. Egli aveva bollato come delle “provocazioni” i dispacci riservati che gli annunciavano un imminente attacco tedesco. Per questo si era rifiutato di predisporre la mobilitazione militare che alcuni capi dell’esercito gli richiedevano. Grazie a questa impreparazione che ha lasciato praticamente indifese le frontiere, l’avanzata della Wehrmacht è fulminea e implacabile. In pochi giorni le truppe tedesche penetrano in profondità seminando morte e terrore. L’Armata rossa è allo sbando ed è costretta a ritirarsi disordinatamente, subendo pesantissime perdite.
Il disastro militare non è spiegabile solo con l’impreparazione dovuta alla sorpresa, ma anche con l’indebolimento che l’apparato difensivo aveva conosciuto grazie all’epurazione dei quadri migliori operata da Stalin. Infatti, nel ‘37-38 l’Armata rossa era stata decapitata a tutti livelli. A partire dal valente e valoroso maresciallo Tuchacevskij, trentacinquemila ufficiali erano rimasti vittime del grande terrore staliniano. Per non parlare dei traumi sociali causati dal dominio staliniano che avevano lasciato un segno profondo nella società sovietica. Basti pensare che una parte di quei contadini ai quali era stata imposta con metodi brutali la collettivizzazione delle campagne, accolsero come “liberatori” i reparti tedeschi che entrarono in Ucraina. Sarà solo il carattere di guerra totale per la vita o per la morte a stimolare un’efficace mobilitazione nazionale, per opporsi al destino che i nazisti avevano riservato ai russi: quello di diventare un popolo di schiavi al servizio dei tedeschi. E sarà solo il coraggio e il sacrificio del popolo sovietico ad invertire il corso della guerra, e a permettere all’Armata rossa di spezzare la schiena alle truppe di Von Paulus.
1) Il patto Hitler-Stalin – A. Peregalli- erre emme edizioni 1989
2) Guerra e rivoluzione – L. Trotsky – Mondadori 1973
3) Il comunismo in Europa – A.Giolitti - Garzanti 1971
4) Opere scelte volume XXII – L.Trotsky - Prospettiva edizioni 2001