Dalle sezioni del PCL
Lorenzo va via e ci lascia ammutoliti, e noi, per lui, rimaniamo con i pugni alzati
In ricordo di Lorenzo Bargellini
5 Giugno 2017
Lorenzo è la parabola della lotta grande e che pure è nella storia, tutta dentro un piccolo mondo antico di cui Firenze ne conserva ancora, perdendone i battiti, la memoria. I battiti di un cuore grande, grandissimo, che si è fermato l’ultima volta ad un uomo che non si fermava mai, in un giornata calda e limacciosa di giugno appena iniziato. Un piccolo mondo antico, fatto di case del popolo e figli di partigiani, di bottegai e prole riottosa, del nipote di un sindaco e scrittore (Piero Bargellini) che ha una cugina, assessore alla casa del comune di Firenze, Sara Funaro nel PD di Nardella – quello più realista del Re, per intenderci - mentre lui invece sceglie fin da adolescente di essere antagonista e di rimanerlo, alle logiche di classe, alle assegnazioni farlocche dei bandi per le abitazioni popolari, e che di certo non avrebbe avuto il problema di un tetto sotto la testa né di un’esistenza che, se l’avesse desiderata, semplicemente seguendola per quella che gli era stata destinata, avrebbe potuto essere di rendita. E invece di rendita Lorenzo non ha voluto vivere.
Perché la vita non è la proprietà di uno speculatore, di un palazzinaro o di un istituto di credito. La vita è una casa che accoglie il diritto di chi diritti non ne ha, rendendola possibile. Mao, così ricordato, chiamato e amato, respira l’aria forte, intensa, del movimento della fine degli anni Settanta, milita in Lotta Continua, diventa per un anno, nel ’79, il referente del Collettivo autonomo viola, combatte l’eroina che è ovunque nei quartieri e infesta i compagni o semplicemente ammazza i più disperati e soli e quindi i più poveri, traendone una sconfitta amara. «Sono finito con spacciatori che mi puntavano pistole alle tempie. Ma anche quella battaglia l’abbiamo persa: in quegli anni sono morti 70 ragazzi solo in Santa Croce per droga».
Eppure non si arresta. Negli anni '80 è infatti in prima linea nella difesa per il diritto alla casa e si dà anima e corpo alle occupazioni, instancabile nella ricerca di stabili in disuso in quella riappropriazione degli spazi che mette in discussione l’egoismo della proprietà. E da allora è un treno: partecipa, organizza manifestazioni, viene denunciato, e tante di quelle volte che si perde il conto. Bargellini, l’indomito compagno che della prassi faceva la sua ragione militante e che solo pochi anni fa a chi in un'intervista gli diceva: «Il prefetto chiede ai privati e al pubblico di impedire le occupazioni mettendo in sicurezza gli immobili dismessi», rispondeva: «Beh, il prefetto dovrebbe dirlo a se stesso: metà di quegli immobili sono dello Stato. A partire dalle caserme. Abbiamo fatto bene a occupare Monte Uliveto, l’ex ospedale militare: sulle caserme si gioca la partita delle speculazioni in città. Continuano a dire che mancano le aree per fare case popolari? Alle Murate, ci sono stato in carcere tre volte da giovane, ora ci sono case dignitose. Nelle ex caserme sarebbe una buona idea farci case popolari, magari per i richiedenti asilo: l’ha riconosciuto il prefetto che c’è una emergenza casa». E che non le manda a dire all’amministrazione comunale, anche quando entra nella giunta la cugina Sara Funaro (il piccolo mondo antico) e nonostante le condanne e i conseguenti lavori socialmente utili, non fa un passo indietro (teniamo presente che il Movimento gestisce a tutt’oggi venti occupazioni, e Lorenzo ultimamente era impegnato nelle case popolari in via dei Pepi oltre che ad aiutare gli immigrati somali nel trovare riparo e casa nel palazzo dei gesuiti).
Muore, Lorenzo, nella giornata di ieri che dà ora il cambio ad un momento nuovo che non lo vedrà più con noi. Muore nella casa all'interno dell'ex asilo Ritter in via Reginaldo Giuliani, che occupava, e che vede inane l’intervento del 118 che lo trova senza vita, forse da poche ore. I compagni del PCL, per Lorenzo e il Movimento di lotta per la casa, nutrivano e nutrono un particolare affetto. Con Bargellini ci siamo trovati spesso a dare e portare solidarietà agli sgomberi, agli sfratti. Spesso presenti alle loro assemblee, vicini, profondamente vicini nella questione migranti (che abbiamo scelto di seguire), durante i cortei, nelle parole d’ordine che denunciavano la recrudescenza borghese di un partito-nazione al Comune che in questi anni ha profuso ogni impegno nel rendere Firenze la città più ostile al proletariato e al sottoproletariato, all’uno impedendo la possibilità di aggregarsi in strade, ritrovi, piazze, funzionali unicamente alla teoria di negozi e botteghe per i consumi dei turisti, negando pertanto ogni possibilità di incontro (e organizzazione); e agli altri destinando un'apartheid silenziosa e durissima nella repressione, in quella ricerca necessaria di un immobile dove poter dare dignità all’esistenza. Ostile politicamente, mettendosi a braccetto con gli interessi economici delle grandi società di proprietà bancaria nell’acquisizione di edifici sfitti da lasciare tali per future speculazioni e profitti. E ostile istituzionalmente, rendendo remota anche la possibilità di una di sanatoria verso quelle 80 famiglie che a Firenze vivono in casa popolari occupate, e che come lo stesso Bargellini precisava, si erano trovate nella condizione di occupare dopo 18 anni di attesa nelle graduatorie sociali.
Come lui pensavamo, sostenevamo, manifestavamo il dissenso per una Firenze che negli anni aveva cambiato completamente volto e che purtroppo non le è caratteristica specifica. Individualista, indifferente alla solidarietà che era propria dei quartieri e che li animava, una città diversa e che, come diremmo oggi, subisce la gentrificazione, il che, tradotto, significa che nella mutazione del proprio profilo urbano, l’offerta e la compravendita si rendono necessarie, nella realizzazione fasulla di un passato che non le appartiene ed è artatamente costruito per il visitatore, il ricchissimo, mentre chi non può o arranca, oltre all’emarginazione può rischiare anche un daspo o subire la vessazione della municipale nel dover pagare sanzioni che non potranno mai essere corrisposte.
Lorenzo era una garanzia di lotta e affetto per tutti coloro, italiani e stranieri, che non avevano neanche un futuro da ipotecare, la cartina di tornasole in questa realtà cittadina, imbevuta di contraddizioni quale crudele piccolo mondo antico di veracissimo capitalismo, della coscienza vigile che non abbassa la guardia. Se c’era Lorenzo, sapevamo che nessuno sarebbe stato lasciato indietro. Ora siamo più soli. Determinati a continuare, con rabbia e dolore, ma davvero con un pezzo importante, anzi essenziale che manca, ci lascia ammutoliti e noi, per lui, rimaniamo con i pugni alzati.