Interventi

Lo sciopero dei detenuti negli Stati Uniti

Sempre più spesso i carcerati USA si ribellano non solo alle condizioni detentive ma allo sfruttamento del loro lavoro

20 Febbraio 2017
sciopero prigioni



Il 9 settembre 2016 rimarrà una data fatidica nella storia degli Stati Uniti. Quel giorno infatti ricorreva il quarantacinquesimo anniversario della rivolta di Attica, conclusasi il 13 settembre 1971 in un bagno di sangue. Per questo migliaia di detenuti hanno scelto il 9 settembre per indire uno sciopero di protesta contro le condizioni di vita nelle strutture detentive degli Stati Uniti e mettere fine allo sfruttamento di quello che è diventato, a tutti gli effetti, un vero e proprio mercato delle braccia. L'inferno di Attica si scatenò subito dopo la morte di George Jackson, membro del movimento dei neri noto come Black Panther Party. Dopo quasi mezzo secolo, i reclusi di 24 stati americani e numerose organizzazioni in lotta contro la gestione privata dell'amministrazione penale e il lavoro coatto a costo ridotto dietro le sbarre si sono attivati per dare vita a uno sciopero senza precedenti in coincidenza della ricorrenza di quella che resta un'indelebile storia miliare nella storia delle proteste carcerarie negli Stati Uniti. Tra il 9 ed il 13 settembre del 1971 oltre mille detenuti sfidarono eroicamente le istituzioni per migliorare le condizioni detentive dell'epoca. L'ala ovest di Attica si riempì di gas lacrimogeni e le guardie riversarono tremila proiettili sui rivoltosi. Quando furono portati via i corpi delle vittime, l'allora presidente Richard Nixon telefonò al governatore dello Stato di New York Nelson Rockfeller esprimendo le sue congratulazioni vivissime "per la magnifica operazione".

Dalla rivolta di Attica ben poche cose sono cambiate nelle carceri americane. Tutti i tentativi di ribellione furono soffocati con la violenza, e solo nel 2010 in sei istituti di pena della Georgia fu attuato uno sciopero di protesta contro gli intollerabili soprusi delle guardie e il ricorso ai lavori forzati. Nel 2013 trentamila reclusi diedero vita a un lungo sciopero della fame in California per chiedere una riforma delle norme riguardanti l'isolamento che portò alla liberazione di circa mille uomini. Gli scioperanti volevano costringere il potere a mettere fine alle torture fisiche e psichiche imposte a migliaia di esseri umani e alle loro famiglie. Anche se il risultato fu modesto servì comunque a far sapere all'opinione pubblica che la California era l'unico stato in cui l'isolamento poteva durare fino a dieci anni. Un altro breve sciopero fu organizzato nell'aprile 2015 in Texas nell'indifferenza dei media. Ma quello che è iniziato il 9 settembre scorso ha fatto nascere un nuovo movimento di resistenza in tutti gli Stati Uniti. I detenuti avevano organizzato ogni dettaglio per coinvolgere il più alto numero di carceri. Non solo gli uomini e le donne rinchiusi nelle desolanti segrete del paese si sono mobilitati, ma anche la gente comune intende mettere fine alla violenza istituzionale a stelle e strisce. Nella Donaldson Correctional Facility e nella Holman Prison, che si trovano in Alabama, 500 reclusi si sono rifiutati di tornare a lavoro e numerose persone estranee al mondo del carcere si sono radunate fuori dai cancelli per esprimere il loro sostegno. Nella Kingcross Facility del Michigan le guardie hanno dovuto portarsi il pranzo da casa perché i cuochi avevano disertato le cucine. I detenuti non hanno più intenzione di essere sfruttati e umiliati, aveva scritto dal carcere Malik Washington, leader del Movimento contro la Schiavitù a Coffield, Texas. Washington spera che la comunicazione tra detenuti e mondo esterno non venga interrotta, perché rappresenta un elemento vitale.

La partecipazione delle donne alle insurrezioni carcerarie non è frequente, ma stavolta numerose detenute hanno aderito allo sciopero. D'altra parte, le donne in carcere hanno ancor più bisogno degli uomini di riforme penali. In trenta stati americani le future madri sono costrette a partorire in catene, e più di duemila bambini ogni anno vengono rimossi a forza dalle celle e trasferiti in istituti per minori in stato di disagio. Molte recluse sono state condannate per aver reagito con la forza ai soprusi subiti per mano di mariti e compagni. I loro problemi vengono sistematicamente messi da parte. Tuttavia la vita quotidiana nelle carceri degli Stati Uniti è una lunga sequela di orrori per tutti indistintamente. Per un cittadino comune è difficile riuscire ad immaginare la violenza che regna dietro le sbarre. La resistenza iniziata il 9 settembre potrebbe portare veramente a grandi cambiamenti.

Messaggi di solidarietà nei confronti dei detenuti sono arrivati da molti paesi del mondo. Soprattutto da Gran Bretagna, Canada, Grecia, ci sono state manifestazioni di piazza per protestare contro il sistema giudiziario e penale USA che tollera ancora la schiavitù. Dall'inizio dello sciopero in varie carceri dell'Alabama e della California è stato dichiarato il regime di "lockdown" - ovvero l'isolamento collettivo che vieta anche i colloqui tra detenuti e le loro famiglie. Il "lockdown" annulla anche eventuali benefici concessi per buona condotta a chi ha compiuto reati minori. Ma non tutti si faranno intimidire. Durante il lockdown le guardie riducono arbitrariamente le razioni di cibo ai reclusi e mandano reclami per iscritto all'amministrazione. Abdullah Hasan, uno degli organizzatori dello sciopero in Ohio, è stato in isolamento prima ancora dell'inizio dello sciopero per aver diffuso "notizie potenzialmente pericolose" sulle condizioni detentive, cosa che Hasan ha negato. Ma l'azione collettiva ha ridato vigore alla battaglia per i diritti dei detenuti.

A Terre Haute, in Indiana, Carolina del Sud, Wisconsin e Ohio i detenuti stanno attuando uno sciopero della fame. Del resto, l'alimentazione nelle carceri americane è cronicamente carente, e spesso a base di cibi avariati. In Texas molte strutture non dispongono di acqua potabile, e bisogna ricorrere all'acqua minerale venduta a caro prezzo dall'Ufficio Commissario. In estate non è raro che i detenuti sofferenti di patologie croniche muoiano per gli effetti del clima, che può raggiungere i 45 gradi. Gli operatori della John Soules Inc. hanno servito cibo per cani ai detenuti "incidentalmente". "Lasciate marcire le radici" è un gruppo composto da alcuni detenuti coinvolti nello sciopero. Si ribellano contro le guardie che lasciano morire i malati piuttosto che curarli per ordine dell'amministrazione, che abbandona i soggetti più vulnerabili al loro destino se la spesa della terapie è eccessiva. In Alabama ci sono stati tuttavia nove agenti di custodia che si sono uniti allo sciopero. Altre guardie, in Texas, hanno aderito alla petizione per limitare l'uso indiscriminato dell'isolamento. Alcuni ufficiali in Alabama criticano aspramente i superiori per la loro indifferenza nei confronti della sofferenza dei reclusi. Forse gli effetti dello sciopero non saranno visibili immediatamente, ma si spera che venga fatta luce sulle condizioni detentive che caratterizzano l'America. Ad iniziare dal lavoro forzato. Su sette milioni di detenuti asserviti ai penitenziari o sorvegliati elettronicamente, un milione circa sono costretti a lavorare per pochi spiccioli o completamente gratis. Il sistema penale statunitense è un aberrazione costruita sul capitalismo e contraria alla stessa Costituzione, che vieta drasticamente il lavoro nei luoghi di detenzione.

La gente comune inizia ribellarsi davanti al fenomeno della carcerazione di massa. Ben presto la protesta coinvolgerà altre carceri. Nessuno ha mai saputo la verità su cosa accadde veramente ad Attica. Ma il ricordo è ancora cristallizzato nella memoria collettiva. Lo sciopero nelle carceri può costare veramente caro, e avere conseguenze serie e violente. Ognuno dei detenuti che hanno aderito alla protesta sa di rischiare ritorsioni e percosse, eppure in questo momento migliaia di uomini e donne privati della libertà stanno resistendo a costo della vita. Salvo coloro che non possono più farlo perché uccisi per mano dello Stato. Ma come diceva Emerson Rudd, assassinato in Texas da un'iniezione letale il 15 novembre 2001 dopo essere stato condannato a morte a soli diciotto anni: «Ma come fanno gli oppressori a non capire che in carcere ci sono uomini che non si arrenderanno mai allo strangolamento imperialista?». Rudd fu portato nella camera della morte da un drappello di guardie in tenuta antisommossa dopo essere stato picchiato selvaggiamente e trascinato in catene fino al furgone che preleva i detenuti in procinto di essere giustiziati dalla Polunsky Unit al carcere di Ellis ad Huntsville, una cittadina di trentacinquemila abitanti in Texas con un'economia interamente basata solo sulla pena capitale. Morì a 31 anni, con il viso gonfio di gas ma gli occhi orgogliosamente rivolti verso il cielo.

Bianca Cerri

CONDIVIDI

FONTE