Primo congresso

COSA VOGLIAMO

MANIFESTO APPELLO DEL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

LA REGRESSIONE STORICA CHE ATTRAVERSA IL MONDO

L’annuncio trionfale di una nuova era di pace e di progresso, che i circoli liberali d’occidente avevano sbandierato dopo il crollo del Muro di Berlino (1989) è stato smentito dai 20 anni successivi.

La restaurazione capitalistica promossa dalle vecchie burocrazie staliniste in Russia e nell’Est Europeo; ed in particolare il processo restaurativo in Cina hanno certo assicurato al capitalismo internazionale un tonificante economico insperato. Ma le contraddizioni mondiali si estendono, contro tutte le promesse di un “nuovo ordine internazionale”. E la stessa “globalizzazione” capitalista non si è affatto tradotta in un miglioramento della condizione dell’umanità. Al contrario.
Le condizioni sociali e di vita della maggioranza della popolazione mondiale conoscono un arretramento progressivo a tutte le latitudini del globo: sotto la spinta di una nuova e più ampia competizione internazionale che proprio il crollo dell’URSS ha liberato e che l’emergere della Cina sul mercato mondiale alimenta ogni giorno.
Avanza ovunque un attacco radicale ai salari, alla stabilità del posto di lavoro, ai diritti sindacali, alle conquiste sociali delle generazioni precedenti.
Tornano le guerre imperialiste e le corse coloniali per il controllo di zone d’influenza, materie prime, manodopera a basso costo, col loro carico di devastazioni e di orrori.
Si affacciano enormi flussi migratori, quali fughe di massa dalla fame e dalla morte, pretesto di nuove campagne razziste e xenofobe.
Si aggrava la catastrofe ambientale e gli squilibri ecologici su scala planetaria.

Il capitalismo ha dunque celebrato la sua “vittoria” nel momento stesso in cui non ha più nulla di progressivo da offrire alle giovani generazioni. Peraltro tutte le domande e rivendicazioni di progresso – sociali, nazionali, ambientali, di genere - che salgono dalle classi subalterne, cozzano come non mai con le regole del gioco del capitalismo mondiale e i loro riflessi nei diversi paesi e continenti.
Tanto più nell’attuale epoca storica, ogni illusione di riforma socialmente progressiva del capitalismo e dell’imperialismo è priva di qualsiasi fondamento materiale. Non c’è un solo governo borghese oggi al mondo che promuova riforme sociali progressive di una qualche rilevanza. Ovunque i governi borghesi – siano essi di centrodestra, di centrosinistra, di socialdemocrazia – gestiscono le medesime politiche di austerità sociale e di “sacrifici” per le grandi masse. Le sinistre che entrano in questi governi o che li appoggiano – quando anche si definiscono abusivamente “comuniste” – si fanno complici di quelle politiche contro i lavoratori, i giovani, i popoli oppressi: dal Brasile, all’India, dal Sudafrica all’Italia.

La verità è che non c’è via d’uscita “progressiva” per l’umanità dentro il regime capitalista.
Solo una prospettiva socialista e rivoluzionaria su scala internazionale può liberare il mondo dalla regressione storica che l’attraversa.


L’ATTUALITA’ DELL’ALTERNATIVA SOCIALISTA

Le potenzialità di progresso sociale contenute negli sviluppi della tecnica e della scienza, si convertono, entro il quadro capitalistico, in nuovi fattori di oppressione e disuguaglianza.

L’incremento della produttività del lavoro incorporato alla tecnica consentirebbe una riduzione progressiva dell’orario di lavoro e una distribuzione tra tutti del lavoro che c’è: e invece si combina con un aumento del tempo di lavoro giornaliero e di vita (età pensionabile), della disoccupazione, dello sfruttamento.

Grandi risorse del sapere scientifico e della ricerca potrebbero essere impiegate nella salvaguardia dell’ambiente e nella lotta contro il cancro e l’AIDS: e invece sono investite nella spesa per armamenti, che ammonta globalmente a un milione di miliardi e costituisce il principale campo d’applicazione dell’elettronica e dell’informatica.

Le potenzialità della produzione alimentare consentirebbero di sfamare la popolazione mondiale per un totale di 12 volte la sua attuale entità: e invece aumenta massicciamente la fame nel mondo secondo gli stessi dati ufficiali dell’ONU, sullo sfondo della desertificazione di intere parti della terra.

La crisi finanziaria dei mutui americani chiarisce una volta di più la natura antisociale del capitalismo: con i pescecani della grande finanza che speculano sull’indebitamento delle famiglie truffando milioni di risparmiatori; e le banche centrali (FED e BCE) che spendono enormi ricchezze, destinabili a ben altri scopi, a sostegno dei banchieri speculatori, per evitare che crolli il loro castello di truffe.

Proprio nell’attuale epoca storica si manifesta dunque al massimo grado tutta l’irrazionalità dell’attuale ordine del mondo. Tutta la moderna barbarie di un’economia fondata sul profitto che concentra nelle mani di 750 multinazionali, dei loro giochi di borsa, delle loro contese, le leve della ricchezza e delle sue destinazioni d’uso. E che affida a un pugno di grandi potenze, in concorrenza tra loro, a partire dagli USA, il controllo del pianeta.

Solo l’esproprio della borghesia e il rovesciamento del suo potere politico; solo riconducendo le leve dell’economia e della scienza sotto il controllo pubblico del mondo del lavoro e della maggioranza della società, è possibile riorganizzare su basi razionali la società del mondo: restituendo alla specie umana il potere di decidere del proprio futuro.


IL SOCIALISMO NON E’ “FALLITO”. E’ STATO TRADITO.

La prospettiva socialista non è “fallita”. E’ stata tradita dalla socialdemocrazia e dallo stalinismo, nel nome di interessi e ragioni materiali del tutto estranei all’emancipazione del lavoro.
La socialdemocrazia internazionale, a partire dal suo sostegno alla prima guerra mondiale, ha utilizzato la bandiera del “socialismo” solo per subordinare i lavoratori ai propri appetiti ministeriali e istituzionali a braccetto con la propria borghesia e il proprio imperialismo. Ed oggi conosce una diffusa evoluzione liberale (blairismo).
Lo stalinismo, a partire dagli anni 30, ha usato la bandiera della Rivoluzione d’Ottobre e del comunismo come pura retorica d’apparato: al servizio degli interessi di una burocrazia parassitaria che prima ha distrutto e decapitato il partito bolscevico e gli strumenti dell’autorganizzazione democratica delle masse; poi ha subordinato a sé l’intero movimento comunista internazionale indirizzandolo progressivamente verso la collaborazione con la borghesia e la coesistenza con l’imperialismo; infine ha realizzato e gestito la restaurazione del capitalismo per sopravvivere al proprio crollo e salvaguardare – mutandone il segno - i propri privilegi.
La figura di Cernomirdyn in Russia, prima alto burocrate del PCUS e oggi grande capitalista russo riassume in sé l’intera parabola della burocrazia staliniana.
In Cina la mutazione capitalistica della burocrazia dominante conosce un processo analogo.

Certo, la natura e il crollo dello stalinismo, in particolare, sono stati cinicamente utilizzati dalla borghesia internazionale e dalla stessa socialdemocrazia come “prova” del fallimento del socialismo, e quindi dell’eternità del capitalismo. Una campagna di intossicazione ideologica che ha inciso profondamente sull’immaginario collettivo di grandi masse nel mondo.
Ma al tempo stesso e paradossalmente proprio il crollo dello stalinismo internazionale – se nell’immediato ha favorito l’imperialismo – ha liberato su scala storica la possibilità di rilanciare nella sua autenticità la prospettiva socialista internazionale, e di restituirla ai suoi principi originari e al suo programma di liberazione.
Non un programma di potere della “burocrazia”, con le sue ville, i suoi negozi speciali, i suoi superstipendi. Ma un programma di potere dei lavoratori per i lavoratori, basato sulla loro autorganizzazione democratica di massa, senza privilegi per i rappresentanti eletti, sulla base di un'economia pianificata, finalmente liberata dal dominio del profitto.
Su queste basi nacque il comunismo di Marx, di Lenin, di Trotsky e della rivoluzione d’Ottobre. Il socialismo nel XXI secolo può rinascere solo recuperando e riattualizzando quei fondamenti.


PER LA RIFONDAZIONE DEL PARTITO INTERNAZIONALE DEI LAVORATORI

La crisi di consenso del capitalismo e dell’imperialismo ricostruiscono lo spazio di rilancio di una prospettiva rivoluzionaria internazionale.

E’ vero: le classi lavoratrici e i popoli oppressi hanno subito, negli ultimi decenni, sconfitte pesanti e un generale arretramento in gran parte del mondo. Spesso un’involuzione profonda della loro stessa coscienza.
E tuttavia il capitalismo fatica a stabilizzare il nuovo ordine internazionale. Non avendo più nulla di progressivo da offrire alle giovani generazioni, fatica a conquistare il loro sostegno. Ed anzi: le politiche dominanti (spese militari, guerre, sacrifici sociali, precarietà dilagante…) registrano ovunque, alla lunga, un’enorme crisi di credibilità e di consenso presso le loro vittime sociali. Ovunque si ammassano le fascine del malcontento. Mentre la pretesa criminale degli Stati Uniti di imporre manu militari il proprio controllo sul mondo conosce in Irak una sostanziale disfatta.

Di riflesso, negli ultimi dieci anni, pur con grandi contraddizioni e in un quadro molto disomogeneo, si sono moltiplicati i fenomeni di resistenza o ribellione alle politiche del capitalismo. Innanzitutto nell’America Latina, percorsa da una vasta tendenza alla sollevazione popolare. Ma anche, con intensità diverse e una dinamica irregolare, in paesi cruciali dell’Europa capitalista: con i ripetuti fenomeni di mobilitazione radicale in Francia e con lo sviluppo, su un altro piano, di ampi movimenti sociali e contro la guerra in Italia, in Grecia, in Spagna. Lo stesso emergere del cosiddetto movimento noglobal (99-2003) con un ampio coinvolgimento giovanile è un’espressione di questa realtà.
Parallelamente le politiche di aggressione dell’imperialismo hanno trovato forme diverse di resistenza presso i paesi arabi e i popoli aggrediti, dalla Palestina, all’Afghanistan, all’Irak.

Questi fenomeni di ribellione e resistenza – pur così diversi tra loro – tenderanno a riprodursi nella prossima fase storica, in un quadro prevedibile di instabilità mondiale.

Ma ciò che ancora manca nei vari paesi e su scala mondiale è un progetto anticapitalistico complessivo e una forza organizzata che lo promuova, capaci di unificare le lotte e le ragioni delle grandi masse attorno a una cosciente prospettiva socialista e a un programma di alternativa di potere. E proprio l’assenza o la debolezza ancora di una sinistra rivoluzionaria, consente ai vecchi apparati di estrazione socialdemocratica o staliniana o nazionalista di subordinare le lotte e i movimenti – anche i più grandi – a sbocchi e disegni che nulla hanno a che vedere con le loro ragioni: conquiste di ministeri in governi confindustriali, compromessi subalterni con l’imperialismo, subordinazione a fondamentalismi confessionali o a regimi populisti.

Per questo, la costruzione di una sinistra rivoluzionaria internazionale, basata su un programma socialista, è, più che mai, all’ordine del giorno del nostro tempo.

La rifondazione di un partito internazionale dei lavoratori, basato sul recupero dei principi del marxismo e della battaglia storica contro lo stalinismo e la socialdemocrazia, risponde a questa necessità: da qui il nostro impegno per la rifondazione della IV Internazionale.


PER UN’ALTRA SINISTRA ITALIANA

L’intera storia italiana, in particolare del secondo dopoguerra, testimonia la necessità di costruire questa sinistra nuova.

Non sono certo mancate, nel nostro paese, esperienze di ribellione al capitalismo da parte di grandi masse operaie, popolari, giovanili. Dalla eroica resistenza partigiana che invocava “la rossa primavera”; alla grande ascesa operaia e giovanile del 68-69, a partire dall’autunno caldo; sino alle stesse mobilitazioni che, pur in un quadro di arretramento sociale si sono sviluppate in anni recenti contro il governo Berlusconi.
Ma ogni volta, inesorabilmente, quelle grandi lotte e aspettative di svolta sono state usate dalle direzioni maggioritarie del movimento operaio, vecchie o nuove, come leva di compromesso con le classi dirigenti del paese; contro i lavoratori e i movimenti.
La resistenza partigiana fu piegata e subordinata all’unità nazionale tra DC e PCI dell’immediato dopoguerra, in nome della ricostruzione del capitalismo italiano e del suo Stato; l’autunno caldo finì tra le braccia del nuovo compromesso storico tra PCI e DC, su un programma di austerità e di sacrifici. Le grandi lotte contro Berlusconi degli ultimi 15 anni sono state usate e svendute a favore del centrosinistra: la grande lotta del 94 a difesa delle pensioni fu usata per aprire il varco ai governi Dini (95) e Prodi (96-98) che colpirono proprio le pensioni; mentre i grandi movimenti contro il secondo governo Berlusconi sono stati usati a favore di un secondo governo Prodi che sta realizzando le politiche di Berlusconi.

E ogni volta, paradossalmente, proprio il tradimento delle mobilitazioni popolari, ha finito con l’aprire il varco alla rivincita delle destre e delle politiche più reazionarie. Il tradimento della resistenza aprì il varco ai manganelli di Scelba e alla repressione anticomunista; il compromesso storico del 76-78 spianò la strada al craxismo, incubatore del berlusconismo; il Centrosinistra degli anni 90 finì col riportare in sella Berlusconi. E oggi stiamo rivivendo, per l’ennesima volta, lo stesso film.

Ciò che dunque abbiamo vissuto nell’ultimo anno politico, con la delusione di tutte le aspettative del popolo della sinistra, non è affatto un deprecabile incidente di percorso. Nel suo piccolo, è il condensato di larga parte del 900.

La capitolazione del Partito della Rifondazione Comunista – col suo ingresso nel governo confindustriale di Prodi - è solo l’ultimo capitolo di questa storia.
Occorre dunque intraprendere la costruzione, a sinistra, di una storia nuova, che tragga le lezioni dal passato e segni una svolta radicale di prospettiva.
Partendo da una battaglia di principio per l’indipendenza del movimento operaio e di ogni movimento dalle classi dominanti, i loro partiti, i loro governi.


CENTROSINISTRA E CENTRODESTRA
LA CAPITOLAZIONE DELLE SINISTRE DI GOVERNO

La competizione tra Centrosinistra e Centrodestra per il governo dell’Italia, non è la competizione tra “progresso” e “conservazione”, come si vuol far credere. E’ la competizione per la rappresentanza politica e la guida del capitalismo italiano, nel momento storico in cui esso sa solo chiedere sacrifici, rinuncie, restrizioni per la maggioranza della società.
La differenza è che il Centrodestra è un blocco di forze reazionarie guidate da un capitalista avventuriero e dal suo clan; e il Centrosinistra è guidato dal grosso della grande borghesia, dei suoi salotti, della sua stampa. Subordinare i lavoratori e i movimenti al Centrosinistra, come ha fatto la sinistra italiana non significa “sbagliare politica”: significa consegnare i lavoratori tra le braccia dei loro avversari in cambio di ministeri, sottosegretari, e una Presidenza della Camera. Significa tradire.

L’esperienza del governo Prodi ha documentato, giorno dopo giorno, questo tradimento.
Il governo Prodi ha risposto fedelmente al mandato della borghesia italiana, ed in particolare delle grandi banche, tutte schierate a suo sostegno: ha lavorato a rilanciare il ruolo del capitalismo italiano in Europa e nel mondo (missioni di guerra e aumento delle spese militari inclusi); ha regalato con la prima Finanziaria miliardi di euro alle grandi imprese, poi allargati anche a banche e assicurazioni e con la seconda Finanziaria ha realizzato una nuova detassazione dei profitti; ha elevato l’età pensionabile a 62 anni e ha programmato l’ulteriore riduzione delle pensioni pubbliche future per i giovani d’oggi – con la revisione automatica e triennale dei “coefficienti” – al solo scopo di regalare a grandi imprese, assicurazioni e banche l’enorme business della previdenza privata; ha reiterato la legge 30 e i contratti a termine per assicurare la continuità dei giganteschi profitti padronali, costruiti su salari da fame e sulla ricattabilità dei lavoratori, italiani e immigrati (omicidi bianchi inclusi). Infine contro gli immigrati ha sviluppato e avallato una campagna reazionaria e xenofoba, applaudita dalle destre.

Le burocrazie sindacali e le sinistre di governo (PRC-PDCI-Sinistra Democratica) che hanno sostenuto e votato una dopo l’altra tutte queste misure, non hanno difeso “male” i lavoratori e le loro domande. Hanno sostenuto e votato il programma della borghesia italiana contro i lavoratori. Non hanno garantito il “meno peggio”. Hanno consentito a un governo di centrosinistra il varo di un insieme di misure che Berlusconi non avrebbe avuto la forza di realizzare, a fronte della prevedibile reazione popolare. In questo senso hanno garantito “il peggio”. Di più: il loro coinvolgimento nella concertazione e nel governo era consapevolmente finalizzato a disinnescare ogni possibile reazione di massa ad un programma antipopolare. Questo chiedeva la borghesia, questo le è stato dato.

Oggi persino di fronte al peggioramento della legge Maroni sulle pensioni e alla conservazione della legge 30, le sinistre restano al governo e gli rinnovano, imperterrite, la propria fiducia. La loro unica, vera preoccupazione è di poter essere scaricate dalle classi dominanti dopo aver svolto al loro servizio il lavoro sporco. Temono insomma che la borghesia possa proseguire il proprio programma… senza di loro e con un altro governo (ciò che non è escluso).

In una parola: i ministeri sono l’unica bussola, l’alfa e l’omega di tutto.
A questo oggi è ridotta la sinistra italiana.


PER UN POLO AUTONOMO ANTICAPITALISTICO

Noi abbiamo rifiutato questo approdo.
Dopo una lunga battaglia nel PRC contro la sua prospettiva di governo, abbiamo rotto con quel partito nel momento stesso del suo ingresso nel governo Prodi. Tra il PRC e i lavoratori abbiamo scelto i lavoratori contro un partito che li aveva traditi. E in questa scelta sta, simbolicamente, il senso stesso della prospettiva nuova del Partito Comunista dei lavoratori.

Il Partito Comunista dei lavoratori nasce da una precisa scelta di campo. Non abbiamo altri interessi da difendere e rappresentare di quelli dei lavoratori, delle lavoratrici, delle classi subalterne di questo paese. Vogliamo costruire una rappresentanza politica vera di quegli interessi e di quelle ragioni, in aperta opposizione al Centrosinistra e al Centrodestra.
Se il Centrosinistra vuole legare i lavoratori al carro del grande capitale, noi ci battiamo per una prospettiva opposta: per la piena autonomia del mondo del lavoro e delle sue ragioni rispetto a tutte le forze della borghesia italiana. Perché solo questa autonomia consente di definire un programma indipendente di rivendicazioni finalmente corrispondenti agli interessi dei lavoratori e non alle “compatibilità” delle imprese. Perché solo questa autonomia può liberare una potenzialità di lotta e di mobilitazione radicale capace di unire i lavoratori, strappare risultati, mutare i rapporti di forza. Perché solo questa autonomia può liberare una prospettiva di alternativa vera alla dittatura dei capitalisti e dei banchieri.

Ci battiamo dunque per la costruzione di un “polo autonomo anticapitalistico”. Contro tutti coloro che vogliono subordinare i lavoratori agli interessi di altre classi, rivendichiamo l’unità del mondo del lavoro, in tutta la sua attuale estensione attorno a un proprio programma indipendente e ad una propria prospettiva: quella di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici di aperta rottura con l’ordine capitalistico della società.

A chi ci accusa di voler dividere i lavoratori aggravando la “frammentazione a sinistra”, rispondiamo nel modo più semplice: a dividere i lavoratori ci pensano quotidianamente Centrosinistra e Centrodestra con le loro campagne mistificatrici (giovani contro anziani, “garantiti” contro precari, privati contro pubblici, italiani contro immigrati). Siamo noi a voler unire l’intero mondo del lavoro in contrapposizione alle classi dominanti. E siamo noi a sfidare apertamente all’unità tutte le forze della sinistra e dei sindacati che parlano a nome del mondo del lavoro: “Rompete con Prodi, col Partito Democratico, con la borghesia italiana e realizziamo insieme, unitariamente, una battaglia comune su un programma alternativo”.
Sta di fatto, purtroppo, che gli apparati della sinistra preferiscono l’unità col capitale contro i lavoratori all’unità dei lavoratori contro il capitale. Chi è dunque che tradisce “l’unità”?

A chi ci accusa di volere l’ “impossibile” perché rivendichiamo la prospettiva di un governo dei lavoratori, chiediamo di guardare in faccia la realtà.
I grandi capitalisti e le grandi banche governano l’Italia da quasi due secoli, utilizzando le più svariate forme istituzionali e di governo. In particolare negli ultimi 20 anni si alternano al governo il capitalista Berlusconi e i rappresentanti del grosso delle grandi imprese e delle banche: entrambi a garanzia di una minoranza di saccheggiatori contro le esigenze della maggioranza della società. Ebbene, noi vogliamo rovesciare questo sistema. Non sta scritto su nessuna tavola della legge che possono governare solo i capitalisti e i loro partiti contro i lavoratori. Possono governare i lavoratori, i loro partiti, le loro organizzazioni, per liberare la società dalla dittatura dei capitalisti e riorganizzarla su basi nuove. Sviluppare nella classe lavoratrice la coscienza di questa possibilità, contro ogni spirito di rassegnazione e subordinazione, è il senso stesso della nostra politica.


BASTA SACRIFICI. REDISTRIBUIRE LA RICCHEZZA
PER UNA VERTENZA GENERALE DEL MONDO DEL LAVORO, DEI PRECARI, DEI DISOCCUPATI

Nell’immediato, proponiamo lo sviluppo di una grande vertenza generale unificante del mondo del lavoro, dei precari, dei disoccupati, attorno a una propria piattaforma di lotta, finalmente decisa dai lavoratori stessi.

Sono vent’anni che le sinistre italiane, politiche e sindacali, accettano di negoziare… sulla piattaforma del padronato: prima sulla cancellazione della scala mobile (anni 80 e primi anni 90); poi sui tagli alle spese sociali, sulle privatizzazioni, sull’abbattimento della previdenza pubblica (92-96); poi sulla precarizzazione dilagante del lavoro. Ogni volta si è detto che i “sacrifici” richiesti servivano a ottenere miglioramenti futuri. E’ accaduto l’opposto: ogni arretramento ha preparato la strada agli arretramenti successivi. Ogni sconfitta ha trascinato con sé altre sconfitte. Sino alla devastazione attuale: in cui i figli si vedono privati delle conquiste dei loro padri.

Noi diciamo: ora basta. In tutti i movimenti, in tutte le assemblee, in tutti i sindacati, ci battiamo per porre l’esigenza di una svolta di fondo. Ogni negoziato sui nuovi sacrifici è inaccettabile e va respinto. Proponiamo una vertenza vera non sulle richieste del padronato ma sulle esigenze e sulle domande dei lavoratori. Quelle sacrificate da vent’anni.Una vertenza basata su una piattaforma di lotta che unifichi tutto ciò che il capitale ha diviso e divide, attorno ad un insieme di rivendicazioni comuni.

Un forte aumento di salari e stipendi per l’insieme dei lavoratori dipendenti: perché con 1000 euro (quando va bene) non si raggiunge la fine del mese.

L’abolizione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro, dal pacchetto Treu alla legge Maroni, a partire dall’assunzione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori oggi precari: per porre fine alla ricattabilità sociale di milioni di giovani, all’insicurezza cronica del lavoro e della vita di un’intera generazione.

L’abrogazione delle controriforme pensionistiche degli ultimi 15 anni, a favore del ritorno della previdenza pubblica a ripartizione: consentendo a milioni di giovani di godere un domani di una pensione decente, vincolata all’ultimo stipendio e sottratta al ricatto dei fondi pensione.

Un vero salario garantito per i disoccupati in cerca di lavoro e per i giovani in cerca di prima occupazione: per consentire loro di sottrarsi alla marginalità sociale, al ricatto del precariato, alle mani della criminalità organizzata.

Un massiccio investimento di risorse sotto controllo popolare, nella scuola pubblica, nella sanità pubblica, nei trasporti, nell’edilizia popolare, nel risanamento ambientale…: restituendo innanzitutto ai servizi sociali e alla qualità della vita tutto ciò che le politiche dominanti hanno loro sottratto per vent’anni a esclusivo vantaggio delle rendite e dei profitti.

A chi afferma che non vi sono risorse per finanziare queste richieste, rispondiamo che le risorse non solo esistono ma sono immense. Basta prenderle là dove sono:
dalle decine di miliardi che le Finanziarie regalano alle grandi imprese private con gli ordinari trasferimenti pubblici (44 miliardi tra il 2000 e il 2006).
Dagli immensi profitti realizzati dalle grandi imprese in anni e decenni di supersfruttamento del lavoro e di bassi salari (41 miliardi di profitti nel solo 2005 da parte delle prime venti aziende).
Dai giganteschi utili realizzati dalle banche sia con attività di ordinario strozzinaggio (mutui) sia con l’espansione del proprio controllo sul grosso dell’economia nazionale (crescita del 50% dei profitti nel solo 2006).
Dal grande patrimonio finanziario detenuto dal 2% delle famiglie italiane (800 miliardi di euro tra i possessori di patrimoni superiori ai 500.000 euro).
Dai 21 miliardi di spese militari previsti dal bilancio dello stato (cresciuti del 13% con la finanziaria 2006) e destinati a costosissimi armamenti, missioni di guerra, e profitti dell’industria militare.
Per non parlare infine della famigerata evasione fiscale del grande capitale o della Chiesa: una Chiesa che grazie alla scandalosa esenzione di IVA ed ICI ed ai mille benefici di cui gode, sottrae all' erario pubblico 6 miliardi l' anno.
E’ vero invece che una piattaforma di lotta unificante e di svolta che dica a chiare lettere “Paghi chi non ha mai pagato” potrebbe conquistare un vasto consenso popolare e mobilitare grandi energie contro le classi dominanti. Aprendo una vera prova di forza, capace di incidere sulle stesse contraddizioni del blocco sociale delle destre. Peraltro solo un’aperta prova di forza può strappare risultati e conquiste parziali: è la lezione recente della grande mobilitazione dei lavoratori e precari francesi nel 2005 contro le misure di precarizzazione del lavoro.


LICENZIARE I LICENZIATORI. NAZIONALIZZARE LE BANCHE.

Una prova di forza con le classi dominanti non potrebbe limitarsi alla sola redistribuzione della ricchezza, ma chiamerebbe in causa il tema stesso della proprietà.
Tutte le sinistre di governo si genuflettono di fronte al totem della proprietà privata dei grandi mezzi di produzione e di scambio. Il fatto che nelle mani di una piccola minoranza della società si concentrino tutte le leve di comando (industria, credito, servizi, telecomunicazioni, stampa) non suscita ai loro occhi alcuno scandalo. Al contrario tutti i “democratici” lo considerano un fatto del tutto normale e inevitabile. Di più: negli ultimi 15 anni hanno sostenuto o avallato un gigantesco processo di privatizzazioni che ha allargato a dismisura proprietà e ricchezze del capitale finanziario, a vantaggio di poche grandi famiglie (vecchie e nuove) e a scapito di lavoratori, consumatori, piccoli risparmiatori, oltreché della moralità pubblica e dell’ambiente.

Noi vogliamo ribaltare questa politica.
Se Centrodestra e Centrosinistra si interrogano ogni giorno sul “costo del lavoro” per il capitale, noi poniamo la domanda opposta: quanto costa la proprietà capitalistica al mondo del lavoro e alla società italiana? Un costo immenso. E non un costo “naturale” e inevitabile. Ma il costo irrazionale del privilegio e dell’arbitrio su cui si fonda l’attuale struttura della società. Noi vogliamo sopprimere quel costo per un altro ordine della società.
Per questo, a partire dalle lotte dei lavoratori, avanziamo alcune rivendicazioni elementari.

La rinazionalizzazione, sotto controllo operaio e senza indennizzo (se non per i piccoli risparmiatori), di tutte le aziende, i settori, i servizi che sono stati privatizzati negli ultimi 20 anni, a partire dai settori strategici: non è possibile costruire alcuna alternativa se innanzitutto non si libera il campo dalle devastazioni compiute. Se non si recuperano al controllo pubblico e all’interesse pubblico beni fondamentali per la qualità della vita, a partire dall’acqua.

L’unificazione sotto controllo pubblico dell’istruzione e della sanità: scuola privata e sanità privata non solo contraddicono la necessaria universalità e gratuità di servizi pubblici fondamentali, ma sottraggono grandi risorse al servizio pubblico. Spesso, oltretutto – come nella sanità – per truffe e speculazioni ignobili sulla pelle dei malati. E’ inaccettabile. Istruzione e sanità debbono essere pubbliche e laiche.

La nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori delle industrie in crisi, che inquinano, che licenziano. Migliaia di aziende prendono soldi dallo Stato per realizzare ristrutturazioni antioperaie, portare all’estero gli impianti, lasciare sulla strada i dipendenti. E’ intollerabile. E’ necessario unificare le 4.500 lotte di resistenza oggi in corso nelle fabbriche in crisi a difesa dei posti di lavoro in un ampio fronte unitario di lotta. E’ possibile solo se la parola d’ordine della nazionalizzazione delle aziende in crisi è fatta propria dal movimento operaio italiano. Come in settori d’avanguardia e lotte radicali di altri paesi.

La nazionalizzazione delle assicurazioni e delle banche. Banche e assicurazioni sono l’architrave del potere economico in Italia. Ma anche strumento di oppressione verso ampi strati popolari: attraverso il nodo scorsoio di mutui usurai, il raggiro di correntisti e piccoli risparmiatori, i legami con la criminalità, la partecipazione, da protagonisti, a truffe gigantesche e scandali nazionali (Cirio, Bond Argentini, Parmalat). La nazionalizzazione delle banche e la loro unificazione in un unico istituto di credito sotto controllo popolare, sarebbe non solo un fattore di eliminazione di irrazionalità e sprechi: ma anche una leva di igiene morale e di liberazione dallo strozzinaggio per un’ampia parte della società. E un colpo severo a mafia e camorra.

A chi obietta che queste misure, nel loro insieme, sono “incompatibili”, con le leggi economiche dell’attuale società e dell’attuale Unione Europea, rispondiamo semplicemente che è vero. Infatti ci battiamo per un’altra società e per un’altra Europa. E’ il capitalismo ad essere “incompatibile” con le esigenze della maggioranza della società. E’ l’Europa delle banche con le sue quotidiane ricette di sacrifici ad essere incompatibile con le domande popolari.

Solo un’economia europea democraticamente pianificata, basata sul controllo delle leve della produzione e del credito da parte dei lavoratori può consentire una riorganizzazione dei rapporti sociali in funzione dei bisogni dei molti e non del profitto dei pochi.

Solo un’economia democraticamente pianificata, può affrontare in Italia la moderna questione meridionale, impiegare e valorizzare tutte le capacità di lavoro sull’intero territorio nazionale, riconvertire l’industria bellica o inquinante con piene garanzie occupazionali per i lavoratori, ampliare e qualificare la spesa sociale in direzione di case, scuole, università, ospedali, ricerca, programmare un ampio sviluppo dei servizi per l’infanzia, promuovere il riassetto idrogeologico del territorio. E una battaglia per l’alternativa anticapitalistica in Italia è parte della lotta per un’Europa socialista, oltreché un contributo importante in questa direzione.


NO ALL’IPOCRISIA (E AI COSTI) DELLA “DEMOCRAZIA” BORGHESE

Un programma anticapitalistico non sarà mai realizzato dagli attuali governi e dall’attuale Stato. Richiede una lotta generale per un altro governo e un altro Stato.

L’attuale natura e organizzazione dello Stato sono funzionali alle attuali classi dominanti. Altro che “democrazia”!
Le grandi imprese e le banche controllano direttamente o indirettamente ampi settori della burocrazia statale, centrale e periferica: che è il vero governo ordinario e permanente della società.
Imprese e banche si fanno guerra tra loro attraverso l’uso privato di pezzi dello Stato (servizi segreti, settori di magistratura) come dimostrano lo “scandalo” Telecom e l’infinita odissea dei “casi” di intercettazioni e spionaggio.
Imprese e banche si disputano il controllo della stampa e delle comunicazioni con un fitto gioco di cordate e di clan: ed oggi posseggono tutti i principali giornali di Centrosinistra come di Centrodestra (quelli che intossicano l’opinione pubblica con la predicazione dei “sacrifici”).
Imprese e banche si comprano quotidianamente la stessa inosservanza delle leggi, ogni volta che è necessario e utile (come nel caso di norme ambientali, obblighi fiscali, o della sicurezza sul lavoro), attraverso il metodo ordinario della corruzione o delle relazioni compiacenti con la pubblica amministrazione.
Imprese e banche pagano ordinariamente tutti i principali partiti di governo (di centrodestra e di centrosinistra) sotto forma di pubbliche regalie, finanziamento delle campagne elettorali, spese di lobbies, come emerge, ad esempio, dalle carte del processo Parmalat e come risulta ormai sempre più spesso dagli stessi bilanci pubblici dei principali partiti.

Si può continuare.
E la commistione tra borghesia, Stato, politica dominante è talmente profonda che vediamo ex generali dell’esercito entrare nel consiglio d’amministrazione di Finmeccanica, pezzi dei servizi segreti porsi al servizio di Tronchetti Provera e delle sue attività di spionaggio, grandi dirigenti e ministri del Centrosinistra e del Partito Democratico partecipare da protagonisti nella compravendita di banche e nel lavoro di faccendieri (magari in tandem con Berlusconi …) come nel caso Unipol-BNL.
Ed è solo la punta dell’iceberg.

E’ questo lo Stato che incarnerebbe la “sovranità popolare”, come ci racconta la fiaba retorica bipartizan di Prodi e Berlusconi, Fini e Bertinotti?
No: l’unica “sovranità” che questo Stato tutela è il potere di chi detiene il potere, cioè una piccola minoranza della società. L’unica legalità che difende è la legge del più forte (anche al prezzo di un’ordinaria illegalità). Come dimostra l’azione criminale intrapresa ciclicamente contro le lotte d’emancipazione della classe operaia e delle masse oppresse: da Gladio allo stragismo degli anni ’70 sino alle brutalità repressive di Genova 2001 contro la ribellione “noglobal”.
La cosidetta 2° Repubblica con le leggi elettorali maggioritarie, i progetti di rafforzamento dei governi (nazionali e locali), a scapito degli stessi poteri delle assemblee elettive, ha semplicemente rafforzato i comitati d’affari delle classi dominanti, le loro politiche antioperaie e il loro Stato, quale corpo separato dalla maggioranza della società. La crescita scandalosa dei privilegi dei parlamentari e dei costi delle istituzioni borghesi è solo il riflesso indotto, la sanzione simbolica di quella separatezza.


SE NE VADANO TUTTI. GOVERNINO I LAVORATORI

Noi ci battiamo per un altro Stato. Perché ci battiamo per il potere reale dei lavoratori e delle lavoratrici.
Naturalmente lavoriamo per la difesa di tutti i diritti e gli spazi democratici che la classe operaia e le masse popolari hanno conquistato e strappato con durissime lotte. Prima contro il fascismo. Poi contro i manganelli dell’attuale “democrazia” borghese. Ed anzi lottiamo per ampliare (o recuperare) questi diritti contro l’involuzione in corso, rivendicando il ritorno a una legge elettorale pienamente proporzionale, la difesa e sviluppo delle libertà sindacali (dei singoli e delle organizzazioni), la difesa dei diritti e delle libertà delle donne, la parità di diritti tra lavoratori italiani e immigrati, contro ogni forma di xenofobia, la parità dei diritti degli omosessuali e di tutte le minoranze oppresse, contro ogni cultura e discriminazione omofobica.
Ma non ci limitiamo a questo.
Non ci limitiamo a difendere diritti e spazi di tutti gli oppressi dentro l’attuale democrazia dei padroni. Rivendichiamo una democrazia dei lavoratori, delle lavoratrici, della maggioranza della società: l’unica peraltro che può realizzare sino in fondo le stesse aspirazioni democratiche. Rivendichiamo in fondo la democrazia reale: quella in cui la maggioranza della società non ha solo il diritto di votare ogni 5 anni chi la trufferà in Parlamento, ma ha il potere di decidere le condizioni della propria vita e del proprio futuro.

Per questo rivendichiamo una democrazia fondata sull’autorganizzazione democratica dei lavoratori stessi e delle larghe masse popolari, con rappresentanti eletti direttamente nei luoghi di lavoro e sul territorio; con il più ampio e libero confronto tra diverse proposte, candidature, organizzazioni , partiti, sulla base del principio proporzionale e del comune riconoscimento del potere popolare; dove ogni eletto è permanentemente revocabile dai suoi elettori e privo di qualsiasi privilegio sociale, economico, giuridico rispetto alla sua base elettiva; dove il potere politico concentra nelle proprie mani sia le funzioni legislative che esecutive; dove tutte le articolazioni del potere e gli stessi strumenti di difesa del nuovo ordine sociale sono basati sulla forza organizzata dai lavoratori stessi e sono posti sotto il loro controllo.

Fantasie? Al contrario. Questa nuova natura e organizzazione dello Stato si è affacciata concretamente, in forma compiuta o come tendenza, in ogni grande rivoluzione dell’età contemporanea. Dalla Comune di Parigi ai Soviet russi, dai consigli della rivoluzione tedesca ai consigli del biennio rosso in Italia. E riemerge prepotentemente, come potenzialità, ogni volta che le classi oppresse alzano la testa: dai consigli di fabbrica dell’autunno caldo nell’Italia dei primi anni ’70, alle assemblee popolari della sollevazione argentina (2001) sino all’autorganizzazione di massa della rivolta francese contro la precarietà (2005).
In ogni grande lotta di massa vogliamo porre la questione dell’autorganizzazione dei lavoratori. Perché i lavoratori possono comandare, non solo ubbidire.

A chi obietta che è una proposta arcaica, rispondiamo che è l’unica risposta progressiva, reale, straordinariamente attuale, alle stesse istanze di moralità pubblica, trasparenza, efficienza, economicità che la propaganda dominante oggi solleva in modo ipocrita e distorto, e spesso reazionario.

“Costi della politica”? Nessuna soluzione è più economica dell’eliminazione degli stipendi faraonici agli attuali parlamentari (o consiglieri regionali); della assegnazione ad ogni deputato del popolo di uno stipendio da lavoratore; della soppressione del bicameralismo (quanto costa il Senato?).
“Efficienza”? Nessuna soluzione è più efficiente di quella che unifica poteri legislativi ed esecutivi, che smantella l’enorme parassitismo dell’attuale burocrazia dello Stato, che affida alla forza organizzata dei lavoratori e alla loro mano pesante (e non ad amministrazioni colluse o impotenti) la repressione della mafia e della grande criminalità organizzata.
“Moralità e trasparenza dello Stato”?
Nessuna soluzione è più trasparente di quella che cancella ogni forma di segreto di Stato; che abolisce la diplomazia segreta; che abbatte la separatezza dello Stato, restituendolo alla società civile. E nessuna soluzione è più igienica e morale di quella che, abolendo il potere della borghesia e il cinismo del profitto, estirpa alla radice il fondamento stesso della corruzione e del malaffare.

La borghesia ha fatto della sua politica un costoso strumento di raggiro e di privilegio. Solo il potere dei lavoratori può edificare uno Stato trasparente e a buon mercato, rifondando la natura stessa della politica e trasformandola in strumento di gestione collettiva e libera del bene comune.


NE’ PARTITO DEMOCRATICO, NE’ SINISTRA GOVERNISTA
COSTRUIAMO IL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Su questo programma generale vogliamo costruire il Partito Comunista dei Lavoratori.
Per un anno e mezzo, dopo la rottura con il PRC, abbiamo sviluppato il movimento costitutivo del PCL aggregando, su chiari principi, compagni e compagne di diversa provenienza, ed estendendo la nostra presenza organizzata in tutte le regioni e nella quasi totalità delle province. Al tempo stesso abbiamo lavorato per lo sviluppo di un movimento contro le politiche militari del governo Prodi, sino alla promozione – accanto ad altre sinistre di opposizione – della grande manifestazione del 9 giugno. Ci siamo battuti, anche come partito, nella campagna per il no all' accordo del 23 luglio, costruendo e prendendo parte ai comitati per il no, promuovendo comizi davanti ai cancelli delle fabbriche, estendendo anche per questa via la nostra presenza e radicamento nei luoghi di lavoro.
Ora apriamo il percorso congressuale fondativo del Partito Comunista del Lavoratori, che si concluderà il 3-6 gennaio con il Congresso nazionale del PCL, portando così a compimento la prima fase di aggregazione delle forze.

Questo progetto è tanto più attuale, qui e ora, di fronte ai processi di segno opposto che oggi investono la cosiddetta sinistra italiana.
Il grosso dei vecchi gruppi dirigenti del PCI, poi DS, completano il proprio tragitto entro un partito democratico all’americana, legato ai poteri forti del paese.
Le sinistre di governo (PRC-PdCI-SD) si candidano ad occupare il vuoto liberato dai DS unendo le proprie forze per continuare a governare col Partito Democratico e i poteri forti: e con ciò portano al naturale sbocco il proprio percorso ministeriale.
Si tratta allora di dar vita all’unico partito della sinistra italiana che sia autonomo e alternativo alle cassi dominanti. Recuperando il filo rosso del Partito Comunista d’Italia delle origini, il partito di Antonio Gramsci: il partito di cui il movimento operaio italiano è stato privato da più generazioni. Il partito della rivoluzione.

Intransigenti sui principi, ci rivolgiamo nel modo più aperto, a tutti coloro che vogliono ridare una prospettiva alla classe operaia e ai movimenti di lotta di questo paese: ai lavoratori che cercano una loro autonoma rappresentanza contro una politica dominante che li colpisce;
agli attivisti sindacali, ovunque collocati, che vogliono un sindacato che stia dalla parte dei lavoratori e non del padronato e del governo;
a tutti i protagonisti di una stagione di lotte (operaie, no-global, antimperialiste) che ha investito l’Italia negli anni passati e che è stata tradita;
ai tanti iscritti e militanti delusi delle attuali sinistre di governo e agli elettori allo sbando di un popolo di sinistra che si sentono orfani di riferimenti credibili.

A tutti diciamo una cosa molto semplice: il PCL vuole costruire il vostro partito. Senza altro interesse che non sia l’emancipazione e la liberazione di tutti gli oppressi, in Italia e nel mondo.

Roma, 27/10/2007